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Dodici anni fa anche la Centrale del Latte di Roma era una municipalizzata

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IlComune era il socio unico e i privati entravano solo nella produzione con le forniture della materia prima. Da ieri l'orologio la storia della Centrale torna indietro di dodici anni. La sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato ha, infatti, dato ragione alla Ariete Fattorie Latte Sano di Marco Lorenzoni. E ha di fatto annullato il contratto attraverso il quale nel 1998 il Comune di Roma vendette il 75% della Centrale del Latte di Roma alla Cirio di Sergio Cragnotti. Una partecipazione che fu rivenduta appena un anno dopo alla Parmalat, di Calisto Tanzi per una cifra superiore ai 300 miliardi di lire. Il Campidoglio, allora guidato dalla giunta Rutelli, modificò le condizioni di vendita nel corso dell'iter concorsuale che prevedeva una ammenda di appena 1 miliardo di lire - contro gli iniziali 80 miliardi di lire -, per un'eventuale cessioni delle azioni in un periodo inferiore a cinque anni. Una disposizione stabilita per consentire all'ente locale di esercitare un controllo sul socio tecnico e che puntualmente contraddetta. A presentare ricorso contro l'operazione era stata la Ariete Fattoria Latte Sano, che nel 2000 aveva chiesto l'invalidazione, una nuova gara e il risarcimento del danno. L'anticipata vendita della Cirio a Parmalat comportò un risarcimento, pagato, di 15 miliardi di euro, ben superiore al miliardo previsto, ma lontano dagli 80 miliardi (o dagli oltre 300 pagati da Tanzi). La tegola del governo Rutelli cade oggi sulla giunta Alemanno con la condanna del Comune a risarcire l'azienda di Lorenzetti di una somma «pari all'importo complessivo delle spese sostenute per partecipare alla gara e all'equivalente al rafforzamento nel mercato del latte dei concorrenti e al danno all'immagine per riduzione del prestigio presso i consumatori oltre all'applicazione della rivalutazione monetaria e interessi». Se Lorenzoni afferma che di fatto la sentenza rende le azioni della Centrale del Latte al Campidoglio, Parmalat fa notare che tale sentenza riguarda solo «la validità della cessione delle azioni della Centrale del Latte di Roma dal Comune di Roma a Cirio e conseguente contratto transattivo». In una nota l'azienda di Collecchio ha infatti ricordato come «Parmalat Spa venne in possesso delle azioni attraverso l'aumento di capitale di Eurolat non più impugnabile poiché avrebbe dovuto essere contestato nei termini e nelle modalità previste dall'articolo 2379-ter del codice civile, cosa peraltro non avvenuta». L'articolo specifica che l'invalidità delle deliberazioni di aumento o riduzione del capitale non può essere proposta «dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o, nel caso di mancata convocazione, novanta giorni dall'approvazione del bilancio dell'esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita». Si preannuncia una, seppur difficile, battaglia legale, che può durare molto a lungo. Questo dipende dai tempi del processo di esecuzione della sentenza, oltre che dalla reale volontà del Campidoglio di chiudere in tempi stretti la vicenda. Il nodo però resta politico. «La sentenza del Consiglio di Stato ha dimostrato senza più alcun dubbio che le giunte di sinistra che hanno guidato il comune di Roma hanno svenduto la centrale del latte a un prezzo irrisorio e non hanno saputo o voluto difendere il comune di Roma quando il primo acquirente, la Cirio di Cragnotti, ha rivenduto la centrale a Parmalat violando le clausole contrattuali e realizzando così l'affare del secolo» ha dichiarato il deputato del Pdl, Marco Marsilio. E se i produttori della Coldiretti hanno detto che ora « si deve ricomporre quella volontà di prediligere il territorio laziale e l'interesse delle aziende zootecniche locali e che aveva dovuto soccombere di fronte ai giochi di prestigio e agli appetiti di soggetti estranei al mondo della produzione del latte romano e laziale». Per Federico Rocca consigliere comunale del Pdl «ci appare grave che ancora una volta la nostra amministrazione dovrà pagare i danni per gli errori commessi da chi ci ha preceduto»

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