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Se la battaglia diventa bandiera politica

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.A parlare, nel settembre del 2007, era l'allora presidente della Federazione romana di An, nonché leader dell'opposizione in Aula Giulio Cesare, Gianni Alemanno. La capitale era ancora sotto choc per l'aggressione a Luigi Moriccioli, che sarebbe deceduto poco dopo. Appena due mesi prima il Consiglio comunale e la maggioranza di centrosinistra avevano votato una riforma della Polizia Municipale che escludeva la dotazione di armi, nonostante due delibere presentate dal vice capogruppo di An, Dario Rossin e da Fabio Rastelli e Dino Gasperini per l'Udc. In entrambe si prevedeva l'armamento dei vigili urbani. L'allora sindaco Veltroni parlava di «percezione di insicurezza» e snocciolava dati sui reati nella capitale in base ai quali non si giustificava una misura così drastica come quella di dotare i «pizzardoni» della pistola, della quale ne erano stati privati nel 1976. Sembrano passati decenni, non semplicemente due anni. Una «battaglia», quella per l'armamento degli agenti della Polizia Municipale, sostenuta anche da questo giornale e dal segretario del Sulpm Alessandro Marchetti che portò l'istanza fino al ministero degli Interni. Il Viminale ne riconobbe non solo la validità ma anche la necessità. A quel punto però l'armamento dei vigili capitolini si era già trasformato in una bandiera politica: il centrosinistra che puntava tutto sull'integrazione e il centrodestra che puntava tutto sulla sicurezza. A vincere, su entrambi i fronti, è stata la seconda.

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