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Questue coi timbri rubati in chiesa

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Injeans e maglietta come tutte le adolescenti, e i capelli tirati indietro raccolti in una coda di cavallo come va di moda adesso. Dovrebbe essere dietro un banco di scuola come le sue coetanee. Invece fa la spola sui vagoni di un treno per spillare soldi ai passeggeri. E per muoverli a compassione distribuisce foglietti in fotocopia che reclamizzano un trapianto di reni in Svizzera che salverà la vita alla sorella di 14 mesi. Falso, come i due timbri impressi per avallare la questua, uno di una nota farmacia romana di Spinaceto, l'altro della parrocchia Santa Maria del Soccorso al Tiburtino III. Quei timbri hanno fatto il giro del Belpaese. «Ci chiamano le Questure di mezza Italia, ormai ci abbiamo fatto il callo», allarga le braccia, come per dire che non c'è rimedio, il segretario e cantore Giorgio Arezzi, che parla a nome del parroco colombiano, don Reinaldo Fredy Ruiz Serna. Arezzi conferma che la Chiesa inaugurata nel '38, nella borgata storica realizzata da Mussolini, non c'entra niente con quella colletta. Ma il timbro rotondo se lo ricorda bene. «Era l'unico così - dice - hanno scassinato la porta e ce lo hanno rubato durante un furto 10 anni fa. E da quella volta non hanno mai smesso di utilizzarlo». Ma ai passeggeri non servono conferme. Leggono il messaggio d'aiuto e capiscono subito che non c'è alcuna bambina da salvare, anche da quella doppia «l» che invece manca alla parola «sorella». E capiscono anche che la ragazzina vestita come le nostre figlie è una zingarella spedita su quel treno da genitori che con la nuova normativa potrebbero rischiare di perdere la patria potestà, se solo qualcuno la identificasse. Invece passa inosservata al controllore. Sale alla stazione Termini lunedì 21 settembre, e si barrica nel bagno riservato alle donne del vagone 10, l'ultimo e senza scompartimenti, appena il treno 582 delle 8.41 diretto a Milano parte da Termini. Nella toilette la ragazzina resta chiusa un bel pezzo, costringendo le signore a servirsi a malincuore del wc maschile. Ne esce quando è sicura che il treno non si fermerà almeno per un po'. Distribuisce i foglietti, fa la spola, si chiude di nuovo in bagno, stavolta in quello degli uomini, ripassa a riprendere i foglietti e i soldi, insiste ma nessuno le dà niente. E quando arriva il controllore è svanita nel nulla. Eppure, si chiedono in molti «qualcuno dovrebbe averla pur vista questa ragazza, probabilmente minorenne» e obbligata ad esporsi al rischio di chiedere l'elemosina, tutta sola, in un treno. «Non ho visto nessuno» conferma il capotreno ai passaggeri che forniscono l'identikit. Ma nessuno se la sente di accompagnarlo nella ricerca, come chiede perché «non possiamo sostituirci alla polizia». Una signora inglese Barbara Eite Mariotti, per un momento, crede di aver riconosciuto in quel volto la zingarella che l'avrebbe scippata qualche settimana prima alla stazione Termini. Per quello scippo è ancora sotto choc e priva di documenti, costretta ad esibire la denuncia al posto della carta di identità. Ma quando sul treno sale un poliziotto non se la sente di sporgere denuncia. Non è questo il punto. Lo spiega Francesco, un ragazzo di Latina che lavora a Milano, e che viaggia solo di giorno «perché di notte i vagoni si trasformano in dormitori per senzatetto». Il punto è questo: «solo chi ha il biglietto è controllato, mentre una zingarella che chiede l'elemosina riesce a essere invisibile».

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