
La sinistra dell'antifascismo? Luca Ricolfi: "Non vincerà mai se continua a puntare su immigrati e minoranze"

«Il fatto di sottoscrivere acriticamente le cause degli immigrati e delle minoranze sessuali conferisce allo schieramento progressista un grave handicap elettorale, non solo in Italia. Negli Stati Uniti questa scelta autolesionistica ha decretato la sconfitta dei Democratici e il trionfo di Trump. In Francia ha condotto il Front National di Marine Le Pen a diventare il primo partito. E da pochi giorni, grazie a un sondaggio Ipsos, sappiamo che anche in Germania il primo partito è un partito radicale di destra, l’AfD (Alternative für Deutschland) di Alice Weidel. È la tesi del mio ultimo libro (Il follemente corretto, Nave di Teseo)». A dirlo il sociologo e presidente della Fondazione David Hume Luca Ricolfi.
Si avvicina il 25 aprile e la sinistra, ancora una volta, parla di liberazione dai fascisti. Le sembra ancora attuale questa lettura?
«Storicamente è esatto, tutt’al più occorrerebbe specificare “dai fascisti e dai nazisti”. Il problema è che il termine “fascisti” oggi non è riservato solo ai fascisti storici, ma anche alle destre. È questo che rende divisiva la festa della Liberazione».
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Si ricorre sempre alle medesime argomentazioni, probabilmente perché non si ha cosa dire?
«Ma che cosa si potrebbe dire di nuovo? Il problema è il format: le commemorazioni sono tutte intrinsecamente ripetitive, per lo più noiose, sempre grondanti retorica. Certo sono doverose, ma non è il caso di stupirsi se le argomentazioni sono sempre le stesse, a sinistra come a destra».
Mentre la destra a Pordenone elegge un sindaco omosessuale, la sinistra diventa sempre più filoislamica. Non le sembra un controsenso?
«Il sostegno all’Islam è diventato un elemento identitario della sinistra, specie in Francia e in Italia. Lo aveva capito perfettamente Houellebecq nel suo romanzo Sottomissione, uscito giusto 10 anni fa».
Si avvicina il 1° maggio. Perché questo Pd parla di woke, diritti e via dicendo, ma talvolta, si dimentica quello che era il suo cavallo di battaglia, il lavoro?
«Il lavoro resta sullo sfondo perché, a sinistra, è diventato un tema difficile. Se lo affronti in modo moderno e sostenibile, come ha fatto Renzi con il Jobs Act, ti danno del venduto al padronato. Se lo affronti in modo massimalista, come Schlein-Landini-Conte, ci vuol poco a capire che sono in arrivo nuove tasse. Il vantaggio di temi come immigrazione e diritti è che il loro costo macroeconomico è modesto, mentre le promesse salariali costano e spaventano imprese e partite Iva».
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Una caratteristica di una certa politica è stata sempre il pacifismo. Perché si ha tanta difficoltà a condannare la violenza?
«Perché la sinistra pensa come pensavano i comunisti ai tempi di Stalin, e cioè che quel che conta non sono i mezzi usati ma le motivazioni: se protesti contro il governo, o appartieni a una categoria disagiata, sei automaticamente giustificato dalle tue finalità, o dal tuo background».
Perché Conte e Schlein su certi temi non riescono ad avere una linea unica?
«Perché entrambi vogliono capeggiare il campo largo. Non è un caso che, per definire un programma comune e vincere, la sinistra sia sempre dovuta ricorrere a un papa straniero (Prodi)».
L’uomo dei dazi Trump può essere anche quello della fine delle ostilità in Ucraina. Sbagliato demonizzarlo?
«Sbagliato demonizzarlo, ma ragionevole considerarlo pericoloso fino a prova contraria. È verosimile potrà porre fine alla guerra in Ucraina, ma a che prezzo?».
Nonostante i grossi cambiamenti planetari, questo governo non perde consensi. Perché?
«Per almeno due motivi. Primo, Schlein e Conte non sono un’alternativa credibile. Secondo, la gente non è stupida: capisce che i problemi ci sono, ma capisce anche che non è Giorgia Meloni l’ostacolo che ne impedisce la soluzione. I veri ostacoli stanno nei giudici italiani (che rendono insolubile il rebus migratorio) e nelle regole europee (che soffocano l’economia)».
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