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Pd, l'intervista a Ricolfi: “Accade l'inevitabile, con una leader come Schlein non può essere per il riarmo”

Giulia Sorrentino
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«La strada che sta seguendo l’Europa, un riarmo fatto in questo modo è pericoloso». A dirlo è il politologo Luca Ricolfi dopo che il Parlamento europeo ha approvato il piano ReArm Europe presentato da Ursula von der Leyen.

Quali le conseguenze sulla capacità di difesa dell’Europa? E quali sull’evoluzione della crisi?
«Sulla capacità di difesa dell’Europa zero conseguenze a breve termine; poche conseguenze a medio termine; conseguenze importanti (aumento sensibile della capacità di difesa) a lungo termine, diciamo fra 5-10 anni. Il riarmo richiede tempo e coordinamento fra gli Stati, due risorse di cui l’Europa è sguarnita. Sulla evoluzione della crisi devo fare una premessa: poiché nessuno è nella testa di Vladimir Putin, e meno che mai in quella di Donald Trump, sarebbe bene che facessimo tutti un bagno di umiltà e riconoscessimo che nessuno ha le informazioni necessarie per fare previsioni. Mi colpiscono molto i Carlo Calenda e i Marco Travaglio, convinti di conoscere le intenzioni di Putin, e peraltro muniti di certezze opposte: i "Calendisti" sono certi che l’intenzione sia di attaccare i paesi Baltici, i "Travaglisti" sono convinti che Putin si accontenterà di tenere i territori occupati e di non avere la Nato alle porte in Ucraina. Per quanto mi riguarda posso solo esplicitare i miei molti dubbi, che in realtà sono soprattutto timori».

Quale è il più importante?
«Il più importante è che il mero annuncio del riarmo possa rendere più difficili i negoziati e (se hanno ragione i Calendisti) convincere la Russia a nuove “operazioni militari speciali” prima che il riarmo abbia effettivamente luogo. Temo, in particolare, che la Russia voglia aprirsi un corridoio verso l’enclave di Kaliningrad, e che non si lasci sfuggire l’occasione di passare all’azione. E poi c’è un altro dubbio...».

 



Ovvero?
«Nei panni di von der Leyen avrei provato a percorrere una strada del tutto diversa. Non avrei lanciato la parola d’ordine del riarmo prima di aver chiarito con gli Stati Uniti quale sarà il destino della Nato, e quale potrà essere il loro impegno futuro nell’alleanza».

Come si ridisegna lo scacchiere Europeo e quali ora le alleanze forti per l'Italia?
«Tendo a pensare che l’Italia, specie se Meloni rivincerà le elezioni nel 2027, cercherà di salvare il Patto Atlantico (magari in una versione aggiornata), e di assumere un ruolo simile a quello che da sempre, in Europa, detiene il Regno Unito, ovvero il ruolo di referente privilegiato degli Stati Uniti (la celebre "special relationship")».

L’Italia (o l’opinione pubblica?) comunque è spaccata.
«Sì, ma è normale che sia così. L’opinione pubblica già era spaccata sulla guerra, non può che esserlo sul riarmo. Semmai tendo a pensare che le fratture diverranno più genuine, o meglio più “psicologiche”, ossia meno legate alle appartenenze partitiche».

 



A maggior ragione veniamo al Pd che sembra avere mille anime diverse. Cosa sta accadendo?
«Sta accadendo l’inevitabile: il Pd non può essere contro l’establishment europeo, ma non può nemmeno, con una segretaria come Elly Schlein, essere a favore del riarmo, specie se rischia di essere effettivo. Di qui l’escamotage di approvare la cosiddetta "difesa comune" (tanto non si farà...), e contestare il riarmo, che spaventa i pacifisti e crea un fossato con i Cinque Stelle. Il risultato è il voto di ieri al Parlamento Europeo, metà con von der Leyen e metà astenuti».

I 5 Stelle invece le sembrano più coerenti?
«Sì, se non fosse che il governo Conte aumentò la spesa militare e i Cinque Stelle votarono le risoluzioni belliciste ai tempi di Mario Draghi».

Però le potrebbero dire che anche la destra è divisa. Quali le differenze con il Pd?
«I contrasti nella destra sono fra partiti, non all’interno del medesimo partito. E tuttavia, da un altro punto di vista, sono rilevanti anche quelli interni alla destra, specie se dovessero portare a una spaccatura nel parlamento nazionale. Non mi stupirei se al momento di aumentare davvero le spese la Lega si astenesse, e il governo dovesse ricorrere ai voti dei centristi (Azione e Italia Viva) e di qualche esponente dell’ala riformista del Pd».

 

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