
Fassino: «Se la sicurezza non è priorità non possiamo mai governare, Il Pd non si accodi a nessuno»

Il deputato dem: «Il mio problema non è trovarmi d'accordo con questo o quello, ma fare cose in cui credo»
«Su temi strategici bisogna assumersi le responsabilità di gestirli e una sinistra che rifiuta di considerare una priorità la sicurezza e la stabilità del continente non è credibile come forza di governo». Non utilizza giri di parole Piero Fassino, vicepresidente della Commissione Difesa della Camera.
Da dove nasce questa sua particolare posizione?
«L’Europa ha potuto costruire la sua integrazione monetaria, economica, sociale e politica perché la sicurezza, negli ultimi 80 nani, è stata gestita dalla Nato. Nel momento in cui Trump non è disposto a sostenere l’80% del costo di quest’organizzazione e intima agli europei di occuparsi in prima persona della loro sicurezza è chiaro che l’Ue ha il dovere di mettere in campo una strategia».
A cosa fa riferimento?
«Un sistema di sicurezza non per fare la guerra, ma per difendere pace e libertà. L’Unione è nata per mettere insieme nazioni che si sono contrapposte a lungo. È un progetto nato per un solo fine: la pace. Ma la pace può essere insidiata da chi intende metterla in discussione. Ecco perché un sistema per garantire la stabilità del continente può essere utile, sia per rafforzare la stessa Nato e sia, quando necessario, per agire autonomamente».
La sorprende che su un’idea, in contrasto con la stessa Schlein, si siano ritrovati così tanti pezzi di Pd?
«Nella mia vita mi sono sempre espresso con posizioni chiare ed esplicite e devo dire che la quantità di riscontri positivi, stavolta, è stata ampia. Detto ciò, so benissimo che nella sinistra e nel Pd c’è anche un’altra sensibilità, quella di chi di fronte alla parola “armi” esprime un atteggiamento di rifiuto o comunque di diffidenza. Le ragioni sono nella memoria di due guerre mondiali, di tutto ciò che hanno prodotto. Allo stesso modo, però, non si può essere prigionieri della memoria».
Dopo diversi mesi, intanto, si vede un partito plurale…
«Lo è stato fin dalla sua nascita. Il Pd è nato dall’incontro tra i Ds, la Margherita e persone che venivano da altre esperienze. Per definizione siamo forza plurale. Non è un mistero dire che a queste latitudini possono vivere sensibilità diverse, a maggior ragione su un tema delicato come questo».
Si è ritrovato d’accordo, invece, con tanti esponenti del centrodestra?
«Il mio problema non è trovarmi d’accordo con questo o con quello, ma piuttosto di dire e fare le cose in cui credo. Se una cosa è giusta, non è importante chi la propone».
Su un argomento così delicato, però, occorre innanzitutto un confronto all’interno del Nazareno…
«Il posizionamento internazionale di un partito ne definisce l’identità, il profilo e la credibilità. Deve essere chiaro, riconoscibile e non deve mai venir meno, neanche nei momenti più difficili».
Sull’Ucraina, intanto, la sinistra è divisa in tre piazze. Da quale si sente rappresentato?
«Mi riconosco nell’appello di Michele Serra, ovvero per una grande manifestazione per un’Europa unita e forte, capace di avere anche una politica di sicurezza e di difesa».
Sembra, però, che questo esecutivo dem sia interessato innanzitutto a rincorrere Conte?
«Il Pd non ha bisogno di accodarsi ad altri. Il Pd deve avere una sua proposta, espressione del nostro pensiero e di una cultura di governo. Solo così possiamo ambire a governare».
E ciò non lo si può fare certamente con l’anti-europeismo…
«L'Europa è nel nostro dna. Il Pd è nato dall’incontro di culture fortemente europeiste: quella della sinistra democratica, del popolarismo democratico e del pensiero liberale democratico».
Allo stesso modo il Nazareno si è sempre contraddistinto per suoi i rapporti con gli Usa. Giusto rinnegarli per Trump?
«Il rapporto transatlantico è essenziale. Lo è per l’America come per l’Europa. E dobbiamo rilanciarlo e rinsaldarlo. In questo momento, però, a metterlo in discussione è soprattutto Trump e ciò è preoccupante. Un vecchio continente più unito e autonomo può solo aiutare l’Occidente».
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