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La profezia di Renzi: “Con i referendum su premierato e Jobs Act addio al governo e al Pd”

Tommaso Cerno
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Due profezie alla Matteo Renzi, mentre corre su e giù perla Sicilia, fra Agrigento e Catania, stringe mani, allarga sorrisi, per far quello che ancora gli piace di più: la campagna elettorale. Due profezie su una parola - referendum - che il leader di Italia Viva candidato come capolista a rovescio (ha scelto l’ultimo posto in lista perché a lui le cose a metà disturbano) con stati Uniti d’Europa, spalla a spalla con Emma Bonino, conosce molto bene. Perché ci ha quasi lasciato le penne nel 2016, vedendo crollare il suo governo. La prima riguarda il futuro di Giorgia Meloni: il referendum in questione è quello sul premierato, che per Renzi finirà per far cadere il governo, ma - aggiunge se cambiano i testi della proposta «si può discutere». E la seconda è sul futuro di Elly Schlein, che assieme al Pd, sta raccogliendo le firme per cancellare uno dei must dell’era renziana: il Jobs Act. «Con quel referendum non finirà il Jobs Act - dice l’ex segretario Dem - ma finirà il Pd».

Lei si candida e vuole restare in Europa se eletto. Giura?
«Certo. E credo che dovrebbero farlo tutti quelli che si candidano. Se ti candidi e poi non ci vai stai prendendo in giro la gente. Meloni, Schlein, Tajani e Calenda stanno prendendo in giro gli italiani».

Perché lo fa?
«Perché le europee servono per contare in Europa non per contarsi in Italia. Qui c’è gente che evoca la terza guerra mondiale: serve recuperare una difesa comune, un esercito comune, una diplomazia comune. Servono gli Stati Uniti d’Europa».

Lei si è detto preoccupato della terza guerra mondiale. Non è eccessivo?
«Purtroppo no. Serve la politica, servono gli Stati Uniti d’Europa. Mi spiace solo per il livello del dibattito. Da noi abbiamo Conte che scrive la parola pace sul simbolo e strumentalizza questa parola con pensierini degni della finale di Miss Italia: voglio la pace nel mondo. Anch’io, ma come? Dall’altro abbiamo Lollobrigida che dice che per fare la pace servirebbero cene organizzate bene. Io propongo l’esercito europeo, lui un catering laziale. Capisce che il problema è serio, la qualità delle risposte dei leader italiani fa ridere».

 

 

Macron e Renew annunciano la candidatura di Draghi alla commissione. È un progetto realizzabile o elettorale?
«Dipende dal risultato. Certo: chi vota Forza Italia sceglie Ursula von der Leyen e la sua visione ideologica, chi sceglie Stati Uniti d’Europa sogna Mario Draghi».

Meloni scommette su una Europa di centrodestra come l’attuale governo italiano. Per quanto riguarda le alleanze continentali, è possibile un’intesa con i conservatori? Oppure voi guardate ai socialisti?
«Secondo me nessuno avrà i numeri per governare da solo. E questo renderà più urgente la necessità dell’elezione diretta del presidente della commissione che è un altro pilastro della strategia di Stati Uniti d’Europa».

Secondo lei il confronto Meloni-Schlein andava fatto?
«Lo fanno tutti i giorni. Sui media, sui social: si cercano, si scontrano, si intendono. Sabato mentre Stoltenberg parlava della Nato e delle armi Giorgia e Elly litigavano su Telemeloni. Suggerisco alla Premier di pensare al Paese, non alla Schlein. E alla Schlein dico: attacca il Governo sugli stipendi e sulla sanità, non sul fascismo».

Il Terzo polo è finito. Lei è Calenda siete molto distanti. Che cosa è successo davvero e perché un moderato dovrebbe votare lei e non lui?
«Calenda si candida con una lista chiamata Calenda. Noi ci candidiamo con una lista chiamata Stati Uniti d’Europa. Calenda si candida per finta: se eletto non ci va. Noi ci candidiamo: se eletti andiamo a Bruxelles. Ciascuno scelga, la differenza è chiara».

Il progetto degli Stati Uniti d’Europa, dopo la competizione dell’8 e 9 giugno, invece, è destinato a diventare un partito o è una federazione?
«Questo progetto andrà avanti a lungo anche perché in Europa occorreranno anni per raggiungere il risultato. Le forme politiche le decideremo ma intanto l’obiettivo è eleggere parlamenti europei che facciano la differenza a Bruxelles».

 



Nel Pd si vocifera di un ritorno di Gentiloni. Qualora dovesse rientrare al Nazareno, è ancora possibile un dialogo con i dem?
«Gentiloni non fa battaglie: aspetta che le facciano altri per lui. Non ha dimestichezza con primarie, elezioni, confronti duri. Andrà al Nazareno solo in caso di crisi di Schlein. Ma il Pd farà un buon risultato: le liste sono forti, vedrete. Andranno meglio dei grillini. Il problema al Nazareno arriverà quando dovranno misurarsi sul referendum sul JobsAct: li si vedrà se i riformisti hanno coraggio o no».

La guerra in Ucraina non sembra finire. Lei è favorevole alle armi Nato contro la Russia?
«Il segretario della Nato fa dichiarazioni che vanno bene per i ragazzini su Twitter, non per gli statisti. Le armi servono e io ho votato a favore. Ma serve anche la diplomazia come dico dal febbraio 2022. Servono personaggi come Blair e Merkel, non leader che non si rendono conto della portata delle loro dichiarazioni».

Il suo ex partito vuole cancellare la sua riforma Jobs Act. Cosa dice a Schlein?
«Il referendum non farà il quorum e dunque non cancellerà il JobsAct ma cancellerà i riformisti dal Pd. Potrebbe essere una mossa molto interessante. Alla fine mi toccherà ringraziare la Cgil per l’assistenza. Il mondo produttivo sa che sono l’unico ad aver difeso chi crea lavoro».

A proposito di temi, sfida per il governo sono certamente le riforme. A Meloni consiglia un referendum, come quello che ha sancito la fine del governo Renzi?
«No. Ed è inutile che dica che tanto non si dimette. Se perde andrà a casa come è successo a Cameron che aveva spergiurato fino alla sera prima che non si sarebbe mai dimesso. Giorgia pensaci: questa riforma e una schifezza».

Su premierato e autonomia, è possibile un’intesa che va oltre i tradizionali steccati partitici?
«Speriamo. Ma devono cambiare i testi. L’elezione diretta del premier non sta in piedi, l’autonomia pure. Cambino i testi e siamo pronti a parlarne».

Altro argomento cardine quello della giustizia a orologeria, che idea si è fatto sul caso Toti? Rivede lo zampino di quei magistrati che l’hanno perseguitata?
«No, i miei hanno fatto peggio. Ma continuo a non capire quale sia il principio costituzionale per cui si possa tenere un governatore privato della libertà. Che bisogno c’era di arrestarlo, per di più a venti giorni dalle elezioni? Se le carte sono solo queste proprio non capisco. E lo dico nonostante che Toti è Cofferati insieme non siano stati garantisti con la nostra Lella Paita dieci anni fa. Ma noi siamo così; il garantismo si applica agli avversari, troppo facile solo con gli amici».

 



Perché Nordio, a suo parere, sta avendo così tanta difficoltà a realizzare la tanto auspicata riforma della giustizia?
«Perché ha sacrificato le sue idee per restare in una maggioranza giustizialista. Fratelli d’Italia non è un partito liberale. Cosa c’entra Delmastro con Einaudi?

Qualora dovesse essere eletto europarlamentare, quali saranno le priorità targate Renzi?
«Le riforme istituzionali. Se non togli il diritto di veto non vai da nessuna parte. Ma anche difendere il ceto medio dalla follia ideologica dei tecnocrati di Bruxelles. La cultura a cominciare dalla 18 app europea. La salute riaprendo la linea di credito del Mes per dare 37 miliardi alle nostre strutture sanitarie. E l’agricoltura: bisogna difendere chi la fa sul serio da chi usa i fondi europei per vivere di rendita. C’è molto da fare».

In caso di ballottaggio nella sua Firenze, sosterrà il centrodestra o i vecchi amici del Pd?
«Sosterrò Firenze. E per questo spero che vinca Stefania Saccardi».

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