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Egitto, Meloni al Cairo per "accordo storico". Cambio passo Ue sui migarnti

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Sette miliardi e 400 milioni di euro. È il ’piattò che l’Europa mette sul tavolo dell’Egitto, con un piano di aiuti da qui al 2027. Il Vecchio Continente arriva in soccorso del Cairo, prima di lei lo hanno fatto gli Emirati Arabi Uniti, l’Fmi e la Banca mondiale, evitando così il peggio a un Paese che, mai come ora, rappresenta un argine fondamentale per contenere la crisi in Medio oriente, ma rischia grosso con la sterlina egiziana che ha perso metà del valore rispetto al dollaro americano e le entrate dal canale di Suez messe a dura prova dagli attacchi degli Houthi. A siglare l’intesa che farà da volano al partenariato strategico tra Egitto ed Europa arrivano al Cairo, alla ’cortè del presidente Abdel Fattah al-Sisi, la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, la premier Giorgia Meloni, il presidente di turno del Consiglio Ue e primo ministro belga Alexander De Croo, il premier greco Kyriakos Mitsotakis, il Cancelliere austriaco Karl Nehammer e il presidente cipriota, Nikos Christodoulidīs. Meloni, che vede nella missione al Cairo anche un’opportunità per spingere l’acceleratore sul Piano Mattei, rivendica il gioco di squadra portato avanti in questi mesi e il ruolo dell’Italia di cui si dice «orgogliosa», attribuendo al suo governo il cambio di passo che l’Ue ha impresso alla strategia europea sui migranti. Perché nell’intesa siglata al Cairo c’è spazio anche per l’emergenza flussi, a cui vengono destinati 200 milioni di euro dell’intero pacchetto di aiuti. Anche al-Sisi mette il dossier dell’immigrazione irregolare tra «le sfide comuni», spiegando che nel summit con l’Ue si è discusso «di come rafforzare i percorsi e le rotte di migrazione legale e di come intensificare gli sforzi per porre fine ai flussi illegali». Von Der Leyen parla di un’«ottima collaborazione», spiegando che l’Ue conta «sulla piena dedizione dell’Egitto al controllo dell’immigrazione clandestina e alla gestione delle frontiere». È anche per questo che la premier vede in quello del Cairo un accordo che non esita a definire «storico», pur avendo portato burrasca dentro e fuori i confini nazionali. Perché se è vero che le opposizioni sono salite sulle barricate puntando il dito contro la relazione con al-Sisi, è altrettanto veritiero che anche a Bruxelles e Strasburgo si registrano critiche al vetriolo per un accordo che porta moneta in un paese dove i diritti umani vengono troppo spesso dimenticati. La questione rischia di essere ancor più spinosa per Roma, che domani vede finalmente aprirsi il processo Regeni: sul banco degli imputati i 4 agenti segreti egiziani accusati di aver ucciso e torturato il ricercatore friulano. Le opposizioni chiedevano a gran voce che la premier ponesse la questione ad al-Sisi, ma non sembra essere andata così stando almeno ai resoconti della presidenza egiziana sui bilaterali tra i due, in cui non ve n’è traccia. Raggiunta dai cronisti, Meloni glissa sulla questione, pur rimarcando la necessità di andare avanti nella ricerca di «verità e giustizia» dopo 8 anni di silenzi e insabbiamenti.

«L’Italia pone tendenzialmente sempre la questione» dell’omicidio di Giulio Regeni, dice ai cronisti che le chiedono dell’incontro con al-Sisi. «Poi c’è un processo in corso in Italia» e «il lavoro che stiamo facendo» con l’Egitto «non cambia la nostra posizione. Dopodiché, vediamo... Per noi è importante che il processo vada avanti e continueremo a tentare di ottenere anche qualcosa di più, ma quello che dobbiamo fare è andare avanti sul fronte della verità e della giustizia». Ciò tuttavia non toglie che i rapporti con l’Egitto appaiono ad oggi, per l’Italia e per l’Europa, irrinunciabili, in quanto il Cairo è considerato un «partner affidabile - si legge nella dichiarazione congiunta Ue-Egitto - pilastro di sicurezza, moderazione e pace nella regione del Mediterraneo, del Vicino Oriente e dell’Africa». A pesare sul piatto della bilancia è anche il ruolo del Paese di al-Sisi nella polveriera mediorientale -«la situazione a Gaza è in cima alle nostre preoccupazioni», spiega la premier al termine del summit- , con il conflitto in Sudan che complica l’intero quadro. Per questo Meloni va dritta per la sua strada. Le critiche delle opposizioni sembrano scivolarle addosso. «Ho letto la segretaria del Pd Elly Schlein che dice che è una vergogna che mezza Europa venga in Egitto per fermare l’immigrazione irregolare. Capisco che per loro sia vergognoso, ma se avessi voluto mettere in piedi il programma del Pd mi sarei candidata col Pd - punge -, invece mi sono candidata contro il Pd proprio perché non sono d’accordo con loro».

Anche l’accordo con la Tunisia, stretto nel luglio dello scorso anno sempre con Von der Leyen al suo fianco, per lei «sta funzionato», e pace per chi sostiene tutto il contrario. «Io penso che sia molto prezioso quello che stiamo facendo - rivendica - e penso che sia estremamente prezioso il ruolo dell’Italia, perché l’Italia su questo nuovo modello di cooperazione con l’Africa, e su questo nuovo modello per affrontare alla radice la questione dei flussi migratori irregolari, ha fatto scuola. Mi sembra che ce lo riconosce pure l’opposizione nell’insultarci, ma ce lo riconosce che bene o male oggi l’Europa ha cambiato passo. E quindi io sono fiera di questo perché era quello che volevo fare, dimostra che quando ti presenti con delle posizioni sostenibili, pragmatiche, serie, è possibile che gli altri ascoltino». La risposta di Schlein, pungente, non si lascia attendere. «Dopo aver sbandierato lo slogan del ’blocco navalè durante la campagna elettorale - tuona la segretaria dem - Giorgia Meloni non è riuscita a pretendere solidarietà sull’accoglienza nemmeno dai suoi alleati nazionalisti come Orban, ma si è messa a promettere accordi ingiusti e fallimentari come quello con la Tunisia e l’Albania, e oggi è finita in Egitto a promettere risorse al regime di Al-Sisi per fermare le partenze, in un Paese che non è sicuro né per gli egiziani né per tutti gli altri, visto che il governo egiziano non ha alcun rispetto per i diritti umani». «Giorgia Meloni - rimarca ancora leader dei dem - ci lusinga quando dice che non la pensa come il Pd, perché noi non prendiamo in giro le persone e non faremmo accordi con i regimi come quello egiziano, che da anni sta coprendo gli assassini di Giulio Regeni». «L’Unione europea è nata per abbattere muri non per costruirne altri. Il rispetto dei diritti umani non può essere svenduto per le ossessioni securitarie dei governi», chiosa Schlein. Ed è solo l’antipasto di un menu molto più sfizioso, il primo round di un match che si disputerà martedì e mercoledì in Parlamento, quando Meloni sarà in Aula -nell’emiciclo del Senato prima e della Camera poi- per tenere le sue comunicazioni in vista del Consiglio europeo. E lì che intende rivendicare a gran voce le scelte fatte e il peso dell’Italia in Ue: «ci sarà da portarsi i popcorn...», scherza uno dei ministri più vicini alla premier. Complice il clima rovente da campagna elettorale perenne, è difficile dargli torto.

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