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Migranti, l'Avvocatura dello Stato smonta le ordinanze di Apostolico

Dario Martini
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Il premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi lo avevano promesso: il governo avrebbe impugnato le ordinanze del giudice Iolanda Apostolico con cui sono stati liberati alcuni tunisini dal Centro per i rimpatri di Pozzallo. E così è stato fatto. Ieri l’Avvocatura generale dello Stato ha proposto i ricorsi in Cassazione contro i provvedimenti con i quali il Tribunale di Catania ha negato la convalida del trattenimento dei migranti irregolarmente arrivati sulle coste italiane così come era stato disposto dalla Questura. Palazzo Chigi fa sapere che «i ricorsi sottopongono alla Suprema Corte l’opportunità di decidere a Sezioni Unite, per la novità e il rilievo della materia, e affrontano i punti critici della motivazione delle ordinanze impugnate, con particolare riferimento alla violazione della direttiva 2013/33/UE». Sono quattro i punti dirimenti su cui si basano questi ricorsi, come spiega sempre la presidenza del Consiglio.

 

 

Primo: a differenza di quanto sostenuto nelle ordinanze, infatti, la direttiva prevede procedure specifiche alla frontiera o in zone di transito, per decidere sulla ammissibilità della domanda di protezione internazionale, se il richiedente non ha documenti e proviene da un Paese sicuro. Secondo: la stessa stabilisce alternativamente il trattenimento o il pagamento di una cauzione, e quindi non vi è ragione per disapplicare i decreti del questore che fissano l’uno o l’altro. Terzo: la direttiva contempla la possibilità che il richiedente sia spostato in una zona differente da quella d’ingresso, se gli arrivi coinvolgono una quantità significativa di migranti che presentano la richiesta. Quarto: in caso di provenienza del migrante da un Paese qualificato «sicuro» deve essere il richiedente a dimostrare che, nella specifica situazione, il Paese invece non sia sicuro, senza improprie presunzioni da parte del giudice. Quest’ultimo aspetto è particolarmente rilevante, dal momento che i migranti liberati dal giudice Iolanda Apostolico sono tutti tunisini che erano sbarcati pochi giorni prima a Lampedusa.

 

 

E la Tunisia, appunto, è classificato come Paese sicuro. I primi quattro sono stati rilasciati il 29 settembre scorso.
Altri quattro l’11 ottobre. Nelle prime ordinanze si legge innanzitutto che per un richiedente asilo non si può «operare un collegamento automatico tra la mancanza di documenti, o la mancanza di risorse economiche, e l’intento di rendersi irreperibile e sottrarsi all’eventuale rigetto della domanda». Tradotto: non è affatto detto che un migrante faccia perdere le proprie tracce una volta che viene liberato. Peccato che nel caso in questione sia andata esattamente così. Inoltre, sempre in queste ordinanze emergono le "singolari" spiegazioni con cui i tunisini hanno motivato la decisione di venire in Italia con i barconi.

 

 

Uno di loro ha raccontato che ha deciso di essersi allontanato dalla Tunisia per «dissidi con i familiari della sua ragazza, i quali volevano ucciderlo ritenendolo responsabile del decesso di quest’ultima, annegata in un precedente tentativo di raggiungere le coste italiane». Particolare anche il racconto di un altro migrante liberato dal giudice di Catania: «Sono partito perché ho avuto problemi con mia moglie in ospedale», lei «è rimasta più volte incinta, per tre volte ha partorito, ma per mancanza di adeguate cure ospedaliere i neonati non sono sopravvissuti. Mia moglie è rimasta in Tunisia con uno dei miei figli. Nel mio Paese le cure sono a pagamento e per questo ho deciso di partire». La Cassazione sarà chiamata a stabilire se tutto ciò risponda o meno ai criteri con cui un magistrato può respingere la richiesta del questore di trattenere un migrante in un Centro per rimpatri.

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