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Salario minimo, ecco perché fissarlo in Italia è sbagliato: la bocciatura del Cnel

Gianluca Zapponini
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Per essere una sponda al governo di Giorgia Meloni e un calcetto negli stinchi all’opposizione lo è. Anche se Pd, Azione e M5S hanno già assicurato che continueranno a insistere per introdurre il salario minimo, tanto che ieri hanno organizzato una raccolta firme nelle piazze. Per il momento c’è da mettere agli atti il sostanziale niet del Cnel alla proposta avanzata a mezzo legge dai partiti del centro sinistra e dai grillini, incastonato nelle quasi 30 pagine di osservazioni e conclusioni sul salario minimo legale. Un testo approvato dall’assemblea dell’organismo presieduto da Renato Brunetta, al quale si è opposta la sola Cgil, mentre la Uil si è astenuta. Un piccolo ripasso per mettere a fuoco la questione. Il dibattito politico e sociale sul salario minimo ha caratterizzato periodicamente gli ultimi quattro anni, con la presentazione di diverse proposte di legge sul tema. In questi ultimi mesi del 2023, poi, il clima si è ulteriormente surriscaldato fino ad arrivare al 30 giugno scorso, quando le opposizioni di centrosinistra (con l’eccezione di Italia Viva) hanno presentato l’ultima proposta di legge per la sua introduzione in Italia. La proposta, in sette punti, prevede una soglia minima di 9 euro lordi l’ora, con l’obiettivo di tutelare i lavoratori poveri che attualmente hanno una retribuzione inferiore e in molti casi non sono coperti da contratti collettivi. Ora, fuori dall’Italia, nel giugno 2022 il Parlamento europeo ha adottato la nuova legislazione sui salari minimi adeguati che si è tradotta in una direttiva adottata dal Consiglio europeo il 4 ottobre 2022. A partire da questa data, gli Stati membri hanno due anni, quindi sino all’ottobre 2024, per recepirne i contenuti nel proprio diritto nazionale.

 

 

La proposta di legge depositata il 30 giugno 2023 dalle opposizioni di centrosinistra (M5S, PD, Sinistra Italiana, Azione, Europa Verde e Europa+) prevede un salario minimo legale di 9 euro. L’importo non dovrebbe riguardare solo i lavoratori subordinati, ma anche nell’ambito della para-subordinazione e del lavoro autonomo. Ma a Villa Lubin la pensano diversamente, anche se alla fine conterà solo la parola dell’Aula, visto che la proposta di legge in questione è attesa a Montecitorio il 17 ottobre. Il succo è più o meno questo: se si vogliono tutelare i lavoratori urge una estensione e un irrobustimento della contrattazione nazionale, perché solo con un buon contratto per ogni settore lavorativo può garantire una giusta paga. Quella è la via maestra, non una retribuzione minima stabilita dalla legge. A monte delle conclusioni del Cnel, c’è una convinzione. E cioè che la povertà lavorativa in Italia esiste, ma è dovuta soprattutto ai tempi di lavoro e alla composizione familiare. E quindi «è un fenomeno che va oltre la questione salario». Molto meglio «un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva».

 

 

Secondo il Cnel, inoltre, la legislazione italiana rispetta già ampiamente le indicazioni della direttiva Ue sul salario minimo: infatti il tasso di copertura della contrattazione collettiva in Italia si avvicina al 100%, di gran lunga superiore all’80%, parametro indicato dalle stesse regole Ue. Insomma, mancano i presupposti. Al momento comunque, si può parlare di un’Europa a quattro velocità. Cinque Paesi non hanno adottato il salario minimo, e sono: Italia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia. Gli Stati che hanno una retribuzione minima legale si dividono invece in tre gruppi: quelli in cui il salario minimo è superiore ai 1.500 euro mensili, quelli in cui oscilla tra i 1.000 e i 1.500, e quelli in cui è inferiore ai 1.000. Ancora, sei Paesi hanno una tariffa oraria elevata: quasi 14 euro in Lussemburgo (2.387 euro al mese), intorno ai 12 in Germania e Belgio, e sopra gli 11 in Irlanda, Francia e Olanda. In Germania il governo Scholz ha aumentato il salario minimo nel 2022, portandolo appunto a 12 euro orari, ma in molti settori la contrattazione collettiva garantisce minimi più alti ai lavoratori.

 

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