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Foti presenta la mozione alla Camera: riportiamo in Italia i terroristi rossi

Edoardo Romagnoli
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Riportare in Italia i terroristi rossi rifugiati in Francia. È questo l’intento della mozione a prima firma Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia, alla Camera. Il 28 marzo di quest’anno la Corte di cassazione francese ha deciso di respingere a titolo definitivo la richiesta, risalente al gennaio 2020, del governo italiano di estradizione di dieci militanti della lotta armata rifugiatisi in Francia e arrestati ad aprile 2021.

La Corte ha rigettato il ricorso del procuratore generale Remy Heitz contro il «no» già pronunciato il 29 giugno 2022 dalla corte di appello, nonostante la volontà comune dei governi italiano e francese di ottenere giustizia per le vittime delle azioni terroristiche messe in atto dagli arrestati. La decisione della Corte di cassazione è giunta dopo il parere negativo, del 7 febbraio 2023, dell’avvocato generale della stessa corte, Xavier Tarabeaux, che aveva consigliato di respingere il ricorso del procuratore Heitz. Non a caso il 26 marzo 2023 il ministro della giustizia francese, Eric Dupond Moretti, aveva definito i terroristi degli «assassini» auspicando la loro estradizione. L’Italia, con questa mozione, chiede al governo di «fornire tutta la necessaria assistenza legale ai parenti delle vittime dei reati commessi dagli ex terroristi, nel loro appello davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro la decisione della Corte di cassazione francese».

Tra i dieci militanti c’è Giorgio Pietrostefani, fondatore insieme ad Adriano Sofri di Lotta continua, condannato come mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Marina Petrella, appartenente alle brigate rosse, condannata per l’omicidio del generale Galvaligi oltre che per il sequestro del giudice Giovanni D’Urso e dell’assessore regionale della Democrazia cristiana Ciro Cirillo. Roberta Cappelli, delle brigate rosse, condannata anche lei per l’omicidio del generale Galvaligi, dell’agente di polizia Michele Granato e del vicequestore Sebastiano<ET>Vinci. Giovanni Alimonti, delle brigate rosse, condannato per il tentato omicidio del vicedirigente della Digos Nicola Simone. Enzo Calvitti, delle brigate rosse, condannato in contumacia a 18 anni di carcere per associazione a scopi terroristici e banda armata.

Maurizio Di Marzio, della colonna romana delle brigate rosse, il cui nome è legato all’attentato al dirigente dell’ufficio provinciale del collocamento di Roma Enzo Retrosi nel 1981 e del tentato sequestro del vicecapo della Digos della capitale Nicola Simone il giorno dell’epifania del 1982. Sergio Tornaghi, membro della colonna milanese «Walter Alasia», condannato all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale della «Ercole Marelli». Narciso Manenti, di guerriglia proletaria, condannato nel 1983 all’ergastolo per l’omicidio dell’appuntato dei carabinieri Giuseppe Gurrieri, ucciso davanti al figlio di 14 anni in uno studio di medicina dove aveva fatto irruzione per sequestrare un medico che lavorava presso il carcere di Bergamo. Luigi Bergamin, dei proletari armati per il comunismo, condannato a 16 anni e 11 mesi di reclusione come ideatore dell’omicidio del maresciallo Antonio Santoro, capo degli agenti di polizia penitenziaria, ucciso a Udine il 6 giugno 1978 da Cesare Battisti.

Raffaele Ventura, delle formazioni comuniste combattenti, condannato a 20 anni di carcere per un concorso morale dell’omicidio del vicebrigadiere Antonio Custra, avvenuto il 14 maggio 1977, durante una manifestazione della sinistra extraparlamentare a Milano. Secondo la Corte costituzionale francese il fatto che alcuni dei dieci ex terroristi siano stati condannati in contumacia decenni fa e che essi non godrebbero, qualora fossero estradati in Italia, di un nuovo processo è un valido motivo per non estradarli. Stando a quanto previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo non verrebbero rispettate le nuove vite che i dieci ex terroristi si sono creati in Francia con tutto ciò che riguarda le loro attuali professioni e famiglie, «pur tenendo conto della gravità dei fatti contestati». La posizione del governo italiano è che il lasso di tempo intercorso è da ricondurre unicamente a una interpretazione distorta della cosiddetta «dottrina Mitterand» risalente agli anni Ottanta. L’allora presidente della Repubblica francese Francois Mitterand aveva offerto rifugio agli ex terroristi italiani ma a condizione che non si fossero macchiati di gravi fatti di sangue: condizione che i dieci "rifugiati" non soddisfano. La «dottrina Mitterand» era diretta a concedere l’estradizione di persone imputate, condannate o ricercate per «atti di natura violenta ma d’ispirazione politica» contro qualunque Stato, purché non diretti contro lo Stato francese concedendo di fatto un diritto d’asilo a ricercati stranieri.
 

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