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La strategia di Meloni per rompere il fronte anti-occidentale

Pietro De Leo
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Una chiave di lettura a più dimensioni può aiutare ad interpretare il valore dell’attivismo italiano in campo internazionale che ha visto, dall’inizio del 2023, alcuni appuntamenti importanti. L’ultimo è stato la trasferta del presidente del consiglio Giorgia Meloni, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, in India e negli Emirati Arabi Uniti. Meloni, in un post su Telegram, si è definita «molto soddisfatta dei risultati ottenuti: l’Italia rafforza i suoi rapporti con l’India e recupera un legame strategico con gli Emirati Arabi». E ha aggiunto: «Rapporti importanti per le nostre priorità di politica estera, che aprono tante opportunità alle nostre aziende e che incidono positivamente sui grandi dossier come Nord Africa, Libia e immigrazione». A proposito di Nord Africa, un passaggio fondamentale è stato segnato con la visita in Algeria di qualche settimana fa. Mettendo insieme le tre destinazioni esiste, innanzitutto, un versante che attiene alle relazioni economiche. L’Italia implementa i legami con l’India dopo lo sconquasso dovuto al contenzioso sui due Marò e al caso Augusta Westland. E li sviluppa con gli Emirati Arabi dopo l’infelice dossier Alitalia-Ethiad e lo stop all’export armamenti deciso dal secondo governo Conte. Sul piano dell’Algeria, invece, si torna ad un ruolo pieno dell’Italia nell’area mediterranea. Ciò nella sfera di un interscambio economico che riguarda molteplici asset: dall’energia ai mezzi militari, dal know how alle prospettive di collaborazioni in campo scientifico.

 

 

Vi è però un’altra dimensione che può consentire di attribuire un altro significato a queste visite. E si può cogliere nelle dichiarazioni di Giorgia Meloni ed Antonio Tajani durante gli appuntamenti in India e negli Emirati. Sia il Presidente del Consiglio che il ministro degli Esteri, infatti, hanno sottolineato la richiesta, avanzata ai due Paesi, di mettere in campo un impegno per il percorso negoziale (al momento non avviato) nella guerra in Ucraina. E non è un caso. Sia India che Emirati Arabi, infatti, hanno assunto una posizione ambigua, mascherata dall’equidistanza, in questo anno d’invasione. In questa dinamica si colloca la partecipazione del Primo Ministro indiano Narendra Modi al vertice convocato nello scorso settembre a Samarcanda dalla Shanghai Cooperation Organization. Tra i Paesi che hanno partecipato, anche Russia e Iran. È vero che, incontrando Putin in quell’occasione, Modi ha sottolineato come non sia ormai più «tempo per la guerra», ma è altrettanto vero che la photo opportunity di quel vertice, che accomunava i leader di India, Cina e Russia dava il senso concreto del rischio di una cooperazione politico-economica antioccidentale, in cui Delhi sarebbe un attore chiave. Ed è inoltre utile sottolineare che l’India, ancora lo scorso 23 febbraio, si asteneva alla mozione in Assemblea Generale Onu di condanna all’invasione russa.

 

 

Schema analogo può esser applicato agli Emirati Arabi Uniti. Qualche mese fa, infatti, il presidente Mohammed bin Zayed Al Nahyan ha incontrato il capo del Cremlino a San Pietroburgo. Lo sceicco auspicò un ulteriore raddoppio del volume degli scambi commerciali tra i due Paesi, dopo quello già registrato nel biennio 2019-2021. E l’Algeria? Anche in questo caso, ambiguità. Ha partecipato alle esercitazioni militari organizzate dalla Russia a Vostok a invasione già iniziata. Si è costantemente astenuto nei voti alle Nazioni Unite sull’invasione. Nell’ultimo vertice tra Usa e leader africani ha preferito inviare alla Casa Bianca un delegato in luogo della presenza del leader Tebboune. Questo quadro complesso, e pericoloso, dal punto di vista geopolitico rende l’impegno italiano ancora più strategico: l’aggancio tra relazioni economiche e convincimento politico può rompere, o quanto meno rallentare, la formazione di quel fronte unito anti-occidentale su cui Putin e gli altri nemici della libertà e della democrazia fanno affidamento.

 

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