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L'intuizione di Mattei e i misteri residui sulla sua morte

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Mario Benedetto
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L’importanza di aver riportato all’attenzione il «piano Mattei» è un merito tanto nei confronti della memoria di un grande italiano quanto nell’individuazione di una visione che, già allora, racchiudeva chiavi di lettura e soluzioni concrete per il raggiungimento di un obiettivo che sembra nato oggi, ma che Enrico Mattei perseguiva decenni fa: l’indipendenza energetica. Enrico Mattei ci ha lavorato a lungo, per quanto ha potuto, sino all’«incidente» aereo che ne ha causato la scomparsa. Insieme a lui viaggiavano il pilota Irnerio Bertuzzi eil giornalista statunitense di «Time Life», William McHale. Incidente, così venne appunto catalogato l’accaduto del 27 ottobre 1962 a Bascapè. Che resta, dunque, un mistero. O meglio, un’informazione a disposizione di pochi, tra cui allora di Mario Ronchi, un contadino della zona che aveva raccontato di fiamme cadute da un cielo «rosso», salvo poi cambiare versione rispetto alle prime dichiarazioni.

Ministro della Difesa era Giulio Andreotti, che istituì una commissione d’inchiesta guidata dal generale Ercole Savi. L’autopsia accertò la morte delle tre vittime a causa dell’impatto. Circolarono notizie successive di uno scoppio che avrebbe preceduto la caduta dell’aereo. La commissione, dopo il lavoro di un anno circa, stabilì che il pilota aveva perso per una qualche ragione il controllo del mezzo, schiantatosi. Nel 1966 il magistrato Edgardo Santachiara chiese l’archiviazione. I rottami vennero restituiti all’azienda, proprietaria del velivolo. Una tragica fine, preceduta da un operato che ha fatto passare alla storia il suo protagonista. Un italiano di origini umili, nato nel 1906 nelle Marche, figlio di una casalinga e di un carabiniere. Sembrerà strano, ma il giovane Enrico non amava la scuola, a parte la matematica. Lavorò come operaio, garzone di conceria, dove divenne direttore tecnico. D’indole ribelle, a soli 27 anni avviò a Milano l’Industria chimica lombarda. Negli anni che avevano preceduto la guerra si era avvicinato alla Dc.

Durante la resistenza divenne partigiano, lasciando l’azienda nelle mani nel fratello. Da lì prese avvio un percorso d’impegno civile, che in una partentesi successiva divenne anche politico. Perla sua storia, e la nostra, fu determinante il suo primo incarico «manageriale» di commissario liquidatore dell’Agip. Era il 1945, a nominarlo Cesare Merzagora. Qui la prima delle importanti intuizioni di Mattei. Comprese che lo avevano incaricato per liquidare una società che era, in realtà, strategica per l’economia del nostro Paese. Mattei riuscì a risollevarla, diventando emblema della rinascita italiana post bellica. «Se in questo paese sappiamo fare le automobili, dobbiamo saper fare anche la benzina» reciterebbe una sua battuta allo storico dirigente Fiat, Vittorio Valletta.

Nel 1949 fu persino trovato il petrolio a casa nostra, a Cortemaggiore. Ma questo non distolse la sua attenzione dal gas, che molti consideravano secondario e di cui invece Mattei, dimostrando ancora volta la sua capacità di visione, intuì il potenziale. Costituita la nuova società «Liquigas», Mattei diede l’input alla rivoluzione della distribuzione del gas, sfruttando la rete distributiva dell’Agip con una politica di respiro non locale, ma nazionale. Tutto ciò in un contesto internazionale dominato da quelle che Mattei stesso ribattezzò le «sette sorelle», di fatto il cartello delle grandi compagnie britanniche e statunitensi, da cui puntava a emanciparsi. Quello che stava avviando con l’Eni, l’azienda in cui era confluita nel frattempo l’Agip, forniva una dimostrazione precisa: il proposito di Mattei, che pareva sconsiderato, poteva realizzarsi. Il monopolio del cartello di queste sette società era stato rotto con le intese di Mattei e lo Scià di Persia. Seguito da altre trattative con la Libia, l’Egitto di Nasser e persino l’Unione Sovietica. A noi il loro petrolio, a loro più royalties. L’azione non poteva non attirare attenzioni su di lui. La sua è un’attività a cavallo tra l’azione del manager e il coraggio dell’uomo. Dimostrati entrambi anche nella lotta a sostegno della questione algerina, fronte delicato che ci avvicina ai giorni nostri. Dal 1854 l’esercito francese era in guerra con il fronte di liberazione nazionale algerino. Mattei sosteneva la causa dell’indipendenza algerina e puntava ad avvicinare le sponde del mediterraneo. Proprio all’Algeria passa, come vedremo letteralmente, l’altra intuizione di Mattei relativa al gas.

Nasce allora, infatti, il progetto del metanodotto nato per portare in Italia il gas del Sahara. Oggi, a molti decenni di distanza, le cronache portano ai nostri occhi il ruolo determinante di questo Paese, la cui percezione è stata resa evidente dalle necessità della questione energetica che, in tempi di pace, viaggiava nell’ombra. Quell’ombra cui Mattei l’aveva sottratta per avvicinarla alla luce dell’indipendenza. Un lavoro che vive nella visione e negli accordi di queste ore. Curiosità, quel metanodotto è intitolato a un amico dell’Algeria, Enrico Mattei.

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