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Luigi Sbarra, segretario generale Cisl, chiede al governo un decreto per famiglie e imprese

Mario Benedetto
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All’indomani del voto, le parti sociali rappresentano interlocutori necessari e importanti per un’efficace azione di sviluppo sociale. Luigi Sbarra, segretario della Cisl, parte dalle criticità del presente per aprire a un dialogo istituzionale fattivo, offrendo la collaborazione necessaria alla ricerca di soluzioni che la coalizione uscita vincente dalle urne ha dichiarato con convinzione di voler individuare e mettere presto in atto.
Segretario Sbarra, partiamo dal governo che s’insedierà a breve: ieri all’iniziativa della Cgil ha dichiarato che la Cisl è pronta al dialogo.
«La Cisl ha avuto sempre un approccio pragmatico e responsabile. Le prime dichiarazioni della leader di FdI Giorgia Meloni sull’importanza del dialogo con i corpi intermedi e sul bisogno di una maggiore solidarietà tra Stati nella gestione europea della crisi sembrano di grande importanza. Noi guardiamo e guarderemo sempre e solo il merito».
Il vostro metodo della "concertazione" vorrà essere ancora una volta un’opportunità per tutti, dalla politica, ai lavoratori ed aziende insieme?
«Guardi, concertare per noi non è né un rito né una pratica consociativa: è una politica di governo in cui ognuno si assume le responsabilità verso obiettivi strategici comuni. Abbiamo bisogno di una grande coesione e di unità per affrontare i gravi problemi del paese. Auspichiamo che il nuovo esecutivo si muova in questo solco, dando solido affidamento alla nostra progettualità».
Quali priorità indicherete?
«Bisogna agire su due fronti. Da un lato l’Europa deve battere un colpo. È tempo di darsi una strategia energetica condivisa, e ci preoccupano non poco le fumate nere di queste settimane sul tetto del prezzo del gas. Dobbiamo pensare ad un nuovo Recovery per affrontare con risorse comuni questa crisi, rifinanziare il fondo Sure e applicare una tassazione comune sui profitti delle multinazionali. Sul piano nazionale prima della Legge di Stabilità serve un nuovo Decreto d’urgenza che destini risorse adeguate a favore di lavoratori, pensionati, famiglie e imprese per contrastare la perdita di reddito delle persone, scongiurare la chiusura di aziende con nuovi ammortizzatori scontati per chi non licenzia, sostenere i consumi delle famiglie contro l'inflazione e il caro bollette».
Sulle pensioni pensate a esigenze di riforma?
«Noi pensiamo che sia un dovere cambiare la legge Fornero, riformando la previdenza su criteri di sostenibilità sociale, flessibilità in uscita, maggiore inclusività per giovani e donne. I lavori non sono tutti uguali. Non si può lasciare una persona su una impalcatura o nei campi sotto il sole fino 67/70 anni. Bisogna sostenere i giovani precari di oggi che con l’attuale sistema contributivo rischiano di diventare i poveri pensionati di domani. Le risorse si possono reperire negli ingenti somme che abbiamo incamerato in questi anni con i risparmi della Fornero e dello scarso tiraggio di quota 100».
La Confindustria ha richiamato l’attenzione sulle prospettive economiche. Le analisi, basate sullo stato attuale dei fatti, parlano del rischio di una crescita "zero" nel 2023. Da dove pensa si debba partire per evitarlo?
«Condividiamo le preoccupazioni di Confindustria. Abbiamo centinaia di migliaia di posti a rischio solo nella manifattura, che diventano più di un milione se allarghiamo lo sguardo alle altre filiere. Senza misure adeguate a Bruxelles e a Roma, rischiamo una catastrofe economica e sociale peggiore di quella che abbiamo vissuto con il Covid. Vanno attivate nuove protezioni universali ed emergenziali. Contemporaneamente bisogna sostenere gli investimenti pubblici e privati, senza i quali il lavoro non si crea e non si qualifica. Si deve accelerare sui target 2022 del Pnnr, rilanciando i progetti per nuove infrastrutture, una nuova politica industriale».
Proprio industriali dicono anche di avere difficoltà a trovare giovani disposti a lavorare, in più settori. Che responsabilità ha il reddito di cittadinanza?
«Viviamo uno strano paradosso nel nostro Paese. Su un versante ci sono più di 2 milioni di giovani Neet, che non lavorano, non studiano, non si formano. Dall’altro c’è un problema strutturale di "mismatch" tra domanda e offerta, con centinaia di migliaia di buoni posti di lavoro vacanti. Un disallineamento che richiede forti investimenti in politiche attive, formazione, riqualificazione e orientamento. Il reddito di cittadinanza si è rivelato uno strumento fondamentale contro la povertà, ma ha fallito clamorosamente sul versante generativo dell’apprendimento e, territorio per territorio, dell’accompagnamento al lavoro per le persone occupabili. È su questo fronte che occorrono gli interventi più sostanziali».
Sicurezza sul lavoro: ogni giorno muoiono in media tre lavoratori a causa di incidenti nei cantieri. Quali le azioni di tutela da intraprendere?
«Non possiamo permettere l’assuefazione sociale a questo tragico bollettino di guerra. Serve un piano nazionale che rafforzi l’esercito di ispettori e medici del lavoro ed elevi la qualità del coordinamento tra soggetti. Va istituita una patente a punti per qualificare le imprese e legare il "rating" agli appalti. C’è da fare un grande investimento sulla formazione, introducendo la materia anche nei programmi scolastici. Vanno sviluppate nuove forme di coinvolgimento che diano ai delegati dei lavoratori poteri decisionali e di controllo più forti. E poi va reinvestito il "tesoretto" risparmiato ogni anno dall’Inail: circa 1 miliardo inutilizzato. Risorse che vanno lasciate nella disponibilità dell’Istituto per aumentare il livello del contrasto e di prevenzione. Abbiamo organizzato unitariamente, nella settimana che va dal 17 ottobre al 21 ottobre, assemblee nei luoghi di lavoro e presidi per rilanciare l’attenzione al rispetto delle norme di prevenzione. Sabato 22 saremo poi in piazza a Roma insieme a Cgil e Uil a Piazza Santi Apostoli».
Chiudendo con un commento su prospettive politiche e scenario globale, le prime reazioni a livello internazionale rispetto al voto, di fatto, rassicurano.
«Le prime dichiarazioni "europee" della premier in pectore sono molto condivisibili. Vale per la solida collocazione euro-atlantica e la condanna a Putin, ma anche per la giusta sottolineatura che l’emergenza dei prezzi deve essere affrontata in modo comunitario, senza che ogni Stato vada per conto proprio. Al governo che nascerà chiediamo di mantenere salda questa impostazione e di portare avanti il processo di integrazione mettendo al centro il lavoro e la coesione. La nostra capacità di influenza deve essere messa al servizio di un progetto che si chiama Stati Uniti d’Europa. L’unico vero traguardo per orientare le grandi transizioni in atto in senso progressivo e inclusivo».
 

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