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Aiuti ed Europa, doppia sfida di Meloni. Ipotesi incarico lampo per il Consiglio Ue

Carlantonio Solimene
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Da un lato ci sono i tempi istituzionali, che per quanto possano essere compressi prevedono i loro inevitabili rituali. Dall'altro quelli della crisi, che bussano prepotentemente alla porta e richiedono risposte immediate. È in questo «iato» che si muove Giorgia Meloni. Anche ieri è arrivata di buon mattino a Montecitorio per avviare l'ormai abituale giro di incontri e studio di dossier per pianificare le prime mosse da attuare quando finalmente il suo ruolo, da «premier in pectore» qual è ora, diventerà.

Per farsi trovare pronta la leader di Fratelli d'Italia non sta lasciando nulla al caso. I contatti con Draghi e Cingolani sul dossier più importante, quello dell'energia, sono costanti. Ed è pressoché certo che il primo provvedimento che il prossimo governo varerà sarà un decreto Aiuti «quater» che non dovrebbe discostarsi granché dalle misure analoghe prese dall'esecutivo uscente, in modo da «coprire» anche i primi mesi del 2023.

Scontato il rinnovo dei bonus sociali per il pagamento delle bollette - magari da rendere più «pesanti» e da destinare a una maggiore fetta di popolazione- e del credito d'imposta per le imprese energivore. Per il resto, ad esempio l'eventuale allungamento dei tempi di rateizzazione per il saldo delle fatture energetiche, occorrerà verificare le risorse effettivamente a disposizione. Si parte dai dieci miliardi di «tesoretto» lasciati da Draghi in virtù di un rapporto deficit/Pil migliore delle attese e si spera di racimolare almeno altrettanto dall'extragettito fiscale dell'Iva (soprattutto in virtù dell'inflazione) e dalla tassa sugli extraprofitti delle aziende energetiche. Teoricamente, potrebbe esserci persino lo spazio per pro cedere al disallineamento tra i costi delle varie fonti energetiche. Disaccoppiare, cioè, i prezzi dell'energia elettrica da quello del gas. In campagna elettorale Meloni ha spiegato che l'Italia potrebbe farlo anche senza un accordo in Europa, e per riuscirci basterebbero 3-4 miliardi. Ma è evidente che la via maestra resta incassare provvedimenti strutturali a livello continentale. Senza i quali rimarrebbe «zoppo» il piano di Meloni, che vuole stroncare al più presto la fase dei bonus («perché così si regalano semplicemente soldi agli speculatori») per agire sulla fonte. E per non essere costretti a scostamenti di bilancio monstre che non sarebbero il miglior biglietto da visita per il nuovo governo italiano di fronte alle cancellerie internazionali.

Proprio sul fronte di Bruxelles si registra una delle novità di ieri. E cioè la possibilità sempre più concreta che al decisivo Consiglio europeo sul tema energetico, in programma il 20 ottobre, possa presentarsi proprio Meloni già nelle vesti di premier. I tempi sono stretti ma non impossibili. Considerato che il nuovo Parlamento si riunirà il 13 ottobre, se si procedesse rapidamente all'elezione dei presidenti di Camera e Senato e si scegliessero subito i capigruppo delle varie forze politiche, a stretto giro Mattarella potrebbe organizzare un veloce giro di consultazioni e dare un mandato esplorativo a Meloni. A quel punto entrerebbero in gioco le trattative sui ministri tra gli alleati del centrodestra. Ma un giuramento il 19 ottobre potrebbe diventare un obiettivo raggiungibile.

«Oggettivamente noi non sappiamo il 20 chi sarà il premier - ragiona Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI - sicuramente chiunque avrà avuto l'incarico e ponendo il caso che per quella data sia stato già nominato, non sarà stato comunque lui ad aver preparare tutto il dossier. Oggi il dossier lo stanno curando loro (Cingolani e Draghi, ndr) e quello che arriverà al 20 sarà stato frutto del lavoro che hanno fatto loro e di chiunque andrà a Bruxelles a metterci la faccia».

Un modo per dire che Meloni, almeno inizialmente, in Europa adotterà la stessa linea di Draghi, sperando di incassarne i frutti. Ma ben sapendo che, anche nella migliore delle ipotesi (e cioè che Bruxelles approvi a tempo di record l'ultima proposta italiana: lo sganciamento del prezzo del gas dalla borsa di Amsterdam) comunque la prima legge di Stabilità sarà all'insegna del caro energetico e del realismo: «Noi prevediamo, così come faremo, la flat tax sul reddito incrementale e di portare da 65mila a 100mila euro la flat tax per gli autonomi. Niente di più» spiega ancora Fazzolari. Insomma, per gli impegni presi nel programma per ora c'è un miliardo o poco più. Del resto si parlerà più avanti, recessione permettendo.

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