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Giorgia Meloni: "Così rilancerò l'Italia". La ricetta su bollette, lavoro, famiglia e politica estera

Daniele Di Mario e Carlantonio Solimene
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Le misure da prendere contro il caro bollette. La ricetta per il lavoro. Il cantiere per le riforme, a partire dal presidenzialismo. E poi ancora l'amarezza per gli attacchi della sinistra, la verità sul rapporto con Mario Draghi e, soprattutto, l'orgoglio di poter essere la prima donna a guidare il governo in Italia: «Significherebbe rompere il tetto di cristallo». A quattro giorni dal voto Giorgia Meloni, leader del partito favorito nei sondaggi, parla a Il Tempo e disegna quella che, nei suoi auspici, sarà l'Italia dei prossimi 5 anni. Senza sottrarsi ad argomenti scomodi come il dibattito sulle risorse del Pnrr e la posizione da assumere in Europa nei confronti dell'ungherese Viktor Orban.

Presidente Meloni, quali sono i provvedimenti che il governo di centrodestra attuerà nei primi cento giorni?
«È evidente come la priorità assoluta, in questo momento, sia proteggere famiglie e imprese dal rincaro delle bollette energetiche. La misura più efficace consiste nel fissare un tetto europeo al prezzo del gas e procedere al disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell'energia prodotta da altre fonti. Quest'ultimo intervento, se fatto dall'Europa, avrebbe un impatto più rilevante, ma l'Italia può adottarlo anche autonomamente. Verrebbe a costare 3-4 miliardi, senza il bisogno di fare ricorso a un ulteriore scostamento di bilancio, e avrebbe un effetto immediato. Subito dopo va affrontata l'emergenza lavoro. Bisogna sostenere l'occupazione, tagliare il cuneo fiscale, incentivare le aziende che creano lavoro secondo il principio "più assumi meno paghi". Poi dobbiamo rimettere la famiglia al centro delle scelte politiche, con interventi strutturali e di lungo periodo: solo così si potrà uscire dalla glaciazione demografica nella quale l'Italia è piombata. Infine, dobbiamo avviare un cantiere per le riforme, a partire da quella che riteniamo la madre di tutte le riforme: il presidenzialismo».

Lei potrebbe essere la prima donna premier nonché la prima leader di un partito di destra a guidare il governo. È partita dall'1,9% e ora rappresenta almeno un quarto dell'elettorato. Dopo 70 anni di Repubblica siamo a un passaggio storico per l'Italia?
«Io mi auguro davvero che gli italiani il 25 settembre scelgano di sostenere questo cambiamento. Se una donna arrivasse per la prima volta alla guida del governo significherebbe rompere il tetto di cristallo, sfatare un tabù che penalizza le donne. E non si tratterebbe soltanto di un passaggio simbolico perché - come spieghiamo nel nostro programma- siamo decisi a favorire concretamente il cammino verso la parità e il superamento del gender pay gap, aiutando le donne a conciliare il lavoro con il diritto alla maternità. Se in questi anni siamo cresciuti così tanto è perché Fratelli d'Italia ha messo i suoi principi e valori davanti al potere e alle poltrone, rinunciando a partecipare ai vari governi arcobaleno che si sono succeduti. Tutto questo, ne sono convinta, gli italiani lo hanno capito, anche perché sono i primi a subire gli effetti nefasti di un certo modo di fare politica».

Ha detto che in questa campagna elettorale si aspettava tanti attacchi, quale è stato quello che invece non si aspettava e l'ha ferita di più?
«Il campionario delle accuse che vengono rivolte a me e a Fratelli d'Italia è sconfinato. Ma abbiamo le spalle larghe, credo sia il prezzo da pagare per il successo che stiamo riscuotendo tra i cittadini. Le accuse e le insinuazioni legate al mio essere donna e madre sono quelle che mi feriscono di più. Sono cresciuta in una famiglia matriarcale, ho lavorato e fatto politica fin da giovane, cerco di conciliare al meglio i miei ruoli di mamma e di leader politico: so bene quanta fatica a una donna costi tutto questo. E oggi vedo addirittura il segretario del Pd Enrico Letta che vuole spiegarmi cosa significhi essere donna... La verità è che la sinistra e alcune femministe impazziscono letteralmente all'idea che una donna di destra possa diventare presidente del Consiglio. Non tollerano che io possa arrivare dove loro non hanno mai osato. Ma è quello che succede quando si fa del femminismo ideologico e poi, invece di lottare per emergere, ci si accontenta di quanto concede il leader maschio di turno».

Conte ha evocato addirittura una guerra civile contro chi toccherà il reddito di cittadinanza; Michele Emiliano ha detto che la destra dovrà «sputare sangue». È preoccupata per quello che potrebbe accadere dopo il voto? Come si può pacificare questo Paese?
«Abbiamo vissuto una campagna elettorale all'insegna di sterili campagne d'odio e di sistematiche provocazioni. Abbiamo ascoltato un ex presidente del Consiglio e un presidente di Regione in carica usare toni che di istituzionale avevano bene poco e anzi sembravano invitare alla sovversione. Mi chiedo: cosa sarebbe successo se queste parole le avesse pronunciate un esponente di FdI? Purtroppo la sinistra si rifugia nel terrorismo e nell'allarme democratico perché non ha nulla da dire e cerca di fuggire dalle proprie responsabilità. Noi in queste settimane non siamo mai caduti nelle provocazioni. La nazione sarà pacificata soltanto quando la sinistra smetterà di usare la storia come una clava contro l'avversario, di additare tutti quelli che non si schierano con lei come mostri o come un pericolo per la democrazia, quando la pianterà di ergersi a censore erogando patenti di presentabilità senza peraltro averne alcun titolo, quando all'estero metterà l'interesse della nazione prima di quello della propria fazione. Questa campagna elettorale ci ha dimostrato che il centrodestra guarda al futuro con maturità e responsabilità, altri invece sono ancora prigionieri di vecchi schemi. Ci demonizzano in nome di valori presuntamente nobili al solo fine di conservare il loro logoro sistema di potere».

Ha detto che si è sentita spesso in questi ultimi mesi con Draghi. C'è un consiglio che le ha dato che lei ha apprezzato maggiormente?
«Il presidente Draghi non mi ha dato consigli. L'ultima volta che ci siamo sentiti ci siamo semplicemente confrontati sulla crisi dell'energia, in una normale interlocuzione tra il capo dell'esecutivo e la principale forza di opposizione. Tutto qui. Abbiamo letto ricostruzioni fantasiose di ogni tipo. Su Draghi il mio pensiero è noto: nessuno mette in discussione le sue qualità, ma i governi li scelgono i cittadini con maggioranze coese, con alleanze che si decidono prima del voto e non si cambiano in Parlamento. Ed è esattamente di questo che abbiamo bisogno per far ripartire l'Italia e restituire credibilità alla politica».

Un tema caldo sono i fondi del Pnrr. Rivedrà il Piano e quali sono i punti che ritiene debbano essere modificati?
«Innanzitutto se FdI e il centrodestra vinceranno le elezioni di certo l'Italia non perderà i soldi del Pnrr. Casomai cercheremo di spenderli più velocemente di quanto abbia fatto il cosiddetto "governo dei migliori". Diverse nazioni in Europa stanno prendendo in considerazione modifiche ai loro piani del Pnrr, che sono stati scritti in condizioni diverse da quelle di oggi, concordandole con la Commissione Europea. Ovviamente non pensiamo di intervenire sui progetti che sono già partiti, sulle cose che si stanno già facendo. Serve un tagliando per capire se l'allocazione delle risorse come immaginata allora sia ancora la migliore possibile di fronte al mutato scenario. Ma soprattutto mi interessa che i soldi arrivino a terra. Il problema dell'adeguamento dei bandi all'aumento delle materie prime non può essere eluso».

Da presidente del Consiglio potrebbe dover dare in Europa il suo assenso ai tagli dei trasferimenti all'Ungheria. Confermerà il voto contrario espresso dai parlamentari di FdI a Strasburgo? E questo potrebbe complicare le nostre relazioni con gli altri partner Ue?
«Al primo punto del programma del centrodestra ci sono i capisaldi storici della politica estera italiana: l'Europa e l'Alleanza atlantica. La nostra collocazione non è in discussione. L'Ungheria è uno Stato democratico. Certo, i modelli dell'Europa dell'Est sono diversi dal nostro perché fino agli anni '90 li abbiamo abbandonati sotto il giogo sovietico. Ora più che mai dovremmo sforzarci di dar loro una mano, accompagnarli se davvero ci sono normative nazionali che non garantiscono la trasparenza degli appalti e che possono pregiudicare la spesa efficace e corretta dei fondi europei. Il testo votato a Strasburgo e il dibattito in corso, invece, sono entrambi viziati da un eccesso di ideologia. È un documento molto politico, che ben poco ha a che vedere su come vengono spesi quei soldi. Nel testo si dice in sostanza che bisogna bloccare l'accesso dell'Ungheria alle risorse europee, ma questa decisione deve essere presa in base ad accuse circostanziate, non in base a simpatie o avversioni politiche. Forse non ci siamo resi conto della situazione in cui ci troviamo. C'è un conflitto nel cuore d'Europa, la scelta più lungimirante sarebbe quella di lavorare per avvicinare le nazioni europee piuttosto che allontanarle. Non possiamo regalare alleati ai nostri avversari. E mi pare che la mia preoccupazione sia condivisa anche dal Dipartimento di stato Usa, che mette l'accento sulla necessità di non rompere un legame con un Paese membro della Nato, a maggior ragione in questa fase». 

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