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Presidenzialismo, il Pd era contro Mattarella: lo voleva in pensione nel 2018

Daniele Di Mario
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Il Pd ha la memoria corta. Cortissima. Il segretario Enrico Letta schiera il Nazareno a baluardo del Capo dello Stato, per salvare Sergio Mattarella da quel presidenzialismo da sempre cavallo di battaglia del centrodestra e rilanciato ripetutamente dal leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni. Peccato che sia stato proprio il Pd, nell'ultima legislatura e prima della proposta di legge costituzionale presentata proprio da FdI con Meloni primo firmatario, a presentare due proposte per la riforma in senso presidenziale della Repubblica e per l'elezione diretta del Capo dello Stato. E Matteo Renzi non c'entra: il Pd era già stato «derenzizzato».

 

Così stupisce sentire Letta dire che «dopo aver cacciato Draghi, vogliono cacciare Mattarella». Perché a voler mandare i pensione il Presidente era proprio il Pd. Il segretario Dem, a proposito della proposta Meloni, tuona: «La questione chiave è il presidenzialismo. Il disegno della destra è che con una maggioranza larga possono cambiare la Costituzione, arrivare al presidenzialismo e così facendo fanno un danno al Paese. Stravolgere la Costituzione vorrebbe dire sostanzialmente crearsi un alibi: datemi i pieni poteri e io risolvo tutto».

 

Eppure, il Pd non vedeva alcuna emergenza democratica né ravvisava rischi perla Costituzione quando nel 2018 proponeva due disegni di legge per introdurre il presidenzialismo con Mattarella al Quirinale già da tre anni. Quella riforma- sosteneva Andrea Romano - era «l'unica via di salvezza per uscire dalla paralisi politica», poiché «di fatto il Capo dello Stato ormai da tempo esercita già quei poteri che gli verrebbero attribuiti formalmente con l'elezione diretta».

Romano era uno dei firmatari della proposta di legge, insieme con il costituzionalista Stefano Ceccanti, Lia Quartapelle e Alessia Morani.

Ma allora tutto ciò non veniva considerato un attacco a Mattarella. Così come non lo era la seconda proposta di legge, sempre del Pd, che negli stessi giorni prevedeva le dimissioni automatiche del Capo dello Stato in carica entro 70 giorni dall'approvazione del presidenzialismo. Dimissioni subito e per legge, come automatica conseguenza del via libera alla riforma, senza aspettare la scadenza naturale del mandato. Firmatari di quella proposta erano Tommaso Cerno e Dario Parrini.

 

Nessuno gridò allo scandalo per una norma considerata ovvia e che avrebbe costretto Mattarella a dimettersi a prescindere dalla propria volontà politica.

Eppure, quando poche settimane fa Silvio Berlusconi, al Corriere della Sera, disse che «se il presidenzialismo entrasse in vigore sarebbero necessarie le dimissioni di Mattarella per andare all'elezione di retta del Capo dello Stato», Letta e il Pd parlarono di «destra pericolosa e attacco a Mattarella. Nonostante Berlusconi avesse aggiunto che il Capo dello Stato si sarebbe tranquillamente potuto candidare con ottime possibilità di essere eletto. Questa volta dagli italiani e non dai parlamentari.

Idem sulla bicamerale proposta da Giorgia Meloni per varare il presidenzialismo. La dimostrazione di come il presidente FdI non pensi affatto di portare in Parlamento una proposta a scatola chiusa. Barricate del Pd, nonostante fosse stato Massimo D'Alema, ai tempi proprio della Bicamerale, a parlare di semipresidenzialismo. Una proposta che, con onestà intellettuale, Matteo Renzi non scarta. Anzi. «Bene fa la Meloni a dire Bicamerale, un luogo per discutere tutti insieme. Quella della Bicamerale è un'idea tutt' altro che disprezzabile», dice il leader di Italia Viva. «Sono favorevole all'elezione diretta non del presidente della Repubblica, ma del presidente del Consiglio - aggiunge l'ex premier - Potrebbe garantire la certezza che per 5 anni hai un sindaco d'Italia che governa e contemporaneamente hai un arbitro a monte che conserva le questioni istituzionali. Non mi preoccupa il presidenzialismo, ma bisogna riformare lo Stato». 

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