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Ecco tutta la verità sulla Flat tax. Aiuta le famiglie e costa 13 miliardi

Filippo Caleri
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Trenta miliardi. No di più. Forse ottanta. Passando per i cinquanta che fa sempre cifra piena e dunque facile da ricordare. Sono i numeri buttati a caso sul costo della Flat tax proposta dal centrodestra e fortemente avversata dal centrosinistra che, per stroncare sul nascere ogni idea di cambiamento del regime delle tasse in Italia, parla di cifre roboanti instillando il dubbio che una riforma proposta da Salvini, Meloni e il Cav debba essere necessariamente a favore dei ricchi. Non solo. Per rafforzare la tesi distruttiva qualche parlamentare ha parlato di una regime che, invece di due, prevede ben 18 aliquote.

 

Per cercare di fare chiarezza Il Tempo ha cercato di studiare, con attenzione e consultando i promotori, la sola proposta di legge in materia che la coalizione di centrodestra abbia presentato e che rappresenta la base di ogni ragionamento sul tema. L’unico progetto di "tassa piatta" rintracciabile negli archivi parlamentari è quello presentato dalla Lega in Senato il 27 maggio del 2020, nel pieno del governo Conte due. Si tratta del ddl A.s. 1831. Un testo seguito dal leghista Armando Siri. E, come ha spiegato durante la conferenza stampa con il leader della Lega, Salvini, frutto di un lavoro nato da un’interlocuzione costante tra i tecnici del partito e l’amministrazione finanziaria per «più di un anno», e dunque legittimamente nella pienezza di poteri del governo gialloverde.

 

Un lavoro informale di confronto con le Finanze che garantisce una ragionevole fondatezza alle cifre e all’impianto elaborato. Il provvedimento è comunque complesso. La parte che il Carroccio vorrebbe avviare è quella relativa alla cosiddetta famiglia fiscale nella quale rientrano dipendenti e pensionati. Quella che il partito di Salvini chiama la Fase due e tre. La uno, è infatti, già stata attuata con la Flat tax alle partite Iva fino a 65mila euro, che ora dovrebbe essere ampliata fino a 100mila.

Famiglia fiscale
Nella Fase due a beneficiare del nuovo regime sarebbero tre tipologie di famiglie fiscali: i single con redditi fino a 30mila euro, le famiglie monoreddito fino a 55mila e quelle bireddito (con due stipendi) a 70mila euro. Una suddivisione non campata in aria. I tecnici che fanno capo a Siri sono partiti dalla classificazione elaborata dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia nei suoi studi. Visti i limiti di reddito e la certezza che la Fase tre, che prevede l’imposta unica per tutti i nuclei fiscali a prescindere dal reddito non partirà subito ma dopo attenta valutazione della Fase due, si può già affermare che il modulo da avviare non avvantaggia i super ricchi vista la soglia oltre la quale la riforma si azzera (settantamila euro nel caso del nucleo con due redditi). Superati questi limiti, infatti, il contribuente rientra, automaticamente, nel regime attuale dell’Irpef con le quattro aliquote.

La base imponibile
La cifra sulla quale si applica l’aliquota unica (15%) è determinata con una serie di deduzioni (cioè valori si sottraggono al reddito dichiarato) legate esclusivamente alla composizione della famiglia. Si inizia da una sottrazione per tutti, che parte da un minimo di 13mila euro e alla quale se ne aggiungono altre per i carichi (figli o familiari presenti nel nucleo). Questi valori però non sono fissi ma si riducono gradualmente con il crescere del reddito. La prima certezza è che, secondo questo principio, la nuova tassazione prevede una no tax area di almeno 13mila euro, che è già più alta di quella attuale. Per riepilogare con la riforma avviata chi guadagna circa 1.100 euro al mese non paga un euro di Irpef. Così, confutando le critiche, i percettori più poveri sono al riparo da sorprese.

 

Le aliquote
Il prelievo fisso è del 15% a regime. Ma nella fase due è previsto quello che i tecnici chiamano meccanismo dello «scivolo» che fa sì che, fino a 26mila euro per i single, 50mila per la monoreddito e 65mila per la bireddito l’aliquota sia secca al 15%. Per gli euro successivi fino, rispettivamente, a 30mila, 55mila e 70mila euro, l’aliquota sale leggermente ogni mille aggiuntivi. Solo a titolo di esempio nella famiglia bireddito i mille euro di reddito successivi ai 65 mila sono tassati al 16,5%. E così via. I tecnici spiegano che questo è stato fatto per evitare un passaggio brusco tra chi è nel regime a tassa piatta e chi per un euro di più di reddito (e cioè da 65.001 euro), passa alla tassazione con l’Irpef attuale. Così si evita anche la tentazione di non dichiarare l’eventuale euro in più che farebbe scomparire il vantaggio. Nel linguaggio più comprensibile è un modo per evitare il cosiddetto «scalone» quando ci si avvicina ai 65mila euro e si possono facilmente superare con un’entrata aggiuntiva. Ed è forse questo sistema, ideato per dare una certa gradualità ai contribuenti marginali, che ha indotto in errore qualcuno che, studiando male il meccanismo, ha parlato di 18 aliquote. Questo sistema non sarà comunque più in vigore nella fase tre perché allora l’aliquota sarà sempre al 15% per tutti.

 

Il costo
Se in linea di principio sono tutti d’accordo ad abbassare le tasse, una delle principali accuse rivolte alla Flat tax è quella di costare troppo in termini di gettito. La relazione che accompagna il ddl stima per la partenza della fase due un ammontare di 13 miliardi. Non dunque 30 o 50. Un numero che, secondo il team che ha accompagnato il lavoro di Siri, parte con simulazioni molto accurate verificate grazie all’interlocuzione con i tecnici nel governo Conte uno. E per questo ci si è basati - spiegano a Il Tempo - sui dati contenuti nello studio del Mef sulle famiglie fiscali riattualizzandoli grazie alle statistiche Istat e alle ultime dichiarazioni dei redditi disponibili. Il passo successivo è stato costruire tutta una serie di tabelle per i casi di famiglie fiscali in base ai redditi e alla composizione familiare.

Per ogni nucleo e per ogni reddito è stata ricostruita la tassazione secondo la normativa vigente e quella con la fase due, tenendo conto degli incassi e delle deduzioni in base alla consistenza della famiglia. Una simulazione basata su dati numerici acclarati e certificati nel corso del confronto con l’amministrazione finanziaria, dunque non aleatori. Non solo. Sempre secondo chi ha elaborato la proposta, i dati della stima iniziale sono da attualizzare, e il costo dovrebbe scendere ancora dagli iniziali 13 miliardi. Questo perché nel calcolo dello stanziamento necessario a finanziare l’avvio della fase due sarebbero assorbiti anche i fondi della riforma Irpef partita il primo gennaio del 2022 e che vale 7 miliardi. Dunque per un primo esperimento di tassa piatta ai dipendenti basterebbero, calcoli alla mano, altri sei miliardi, che potrebbero essere reperiti attraverso il riordino del groviglio delle centinaia di tax expenditure, la lotta all’evasione e la rivisitazione dei processi di spesa dello Stato. Dunque senza necessità di ulteriore debito da accollare alle generazioni future.

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