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Elezioni, Calenda e la rottura con il Pd: "Patti violati, alleanza impossibile"

Carlantonio Solimene
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L'accrocchio impossibile forgiato da Enrico Letta - un patto programmatico con Calenda e uno «tecnico» con Fratoianni e Di Maio - è durato meno di 24 ore. A scrivere la parola fine sull'ennesimo «campo» immaginato dal segretario del Pd è stato il leader di Azione in diretta tv. «Ho comunicato ai vertici Dem che non intendo andare avanti con questa alleanza» dice a Lucia Annunziata, «ed è una delle decisioni più sofferte che ho preso da quando ho deciso di fare politica».

Impossibile, per l'ex ministro dello Sviluppo, condurre una campagna elettorale al fianco di chi quotidianamente bombarda l'Agenda Draghi. Impossibile galvanizzare l'elettorato di fronte a una proposta che, per bocca dello stesso Letta, non mirava a governare ma «solo a fermare le destre». Calenda ha fatto trascorrere la notte, ma nella serata di sabato aveva già comunicato a Dario Franceschini la decisione. Gli altri avevano intuito l'epilogo dall'irrituale silenzio che il leader di Azione si era imposto su Twitter dalle 16 dell'altro ieri. C'entra la coerenza, certo. Ma c'entra soprattutto lo smarrimento di chi man mano aveva aderito alla battaglia di Azione. I militanti, gli amministratori locali e infine i forzisti che si erano tuffati dall'avventura- da Carfagna a Gelmini - ritrovatisi all'improvviso sulla scheda elettorale con i vari Fratoianni, Bonelli, Di Maio.

Al di là delle rispettive idee, un'ammucchiata troppo disomogenea che solo a Enrico Letta era sembrata, per qualche ora, unapropostapolitica credibile. Ora nel centrosinistra restanoi cocci. L'indisponibilità a tornare a parlare con il M5S, peraltro ricambiata da Conte, mai così perfido («Enrico offri i seggi avanzati a Di Maio»). E la convivenza con una Sinistra con la quale si è già detto di essere in disaccordo. Un errore dietro l'altro. Ma se Letta piange, Calenda non ride. Non ancora, almeno. Perché la rottura col Pd si porta dietro anche quella con Più Europa. Della Vedova e Bonino restano a sinistra.

E così il leader di Azione si trova a fronteggiare il nodo delle firme. Un «cavillo» nel decreto Elezioni - suggerito proprio dall'«azionista» Enrico Costa - potrebbe esentare dall'improba missione (40mila sottoscrizioni da trovare «in spiaggia» entro il 22 agosto) anche la formazione di Calenda. Ma il rischio di contestazioni da parte degli uffici elettorali nelle Corti d'Appello è altissimo. E così a Calenda, per tentare la corsa solitaria, resterebbe l'accordo con Renzi per formare un «listone» unico. Non a caso il leader di Italia viva ha subito «silenziato» i suoi pronti a ironizzare sulla retromarcia di Carletto. «Parlo io» è stato l'ordine di scuderia. E l'invito vergato sui social è chiarissimo: «Tra tante difficoltà, internazionali e domestiche, ora è il momento della Politica con la P maiuscola. Abbiamo una opportunità straordinaria #TerzoPolo».

I due leader dell'arco costituzionale dotati di maggior ego riusciranno a mettersi d'accordo? È l'ultima incognita prima della definizione degli schieramenti. Intanto Renzi ha incassato l'adesione di Italia C'è dell'ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti. Una mossa necessaria per raggiungere il milione di voti che significa 3% e quindi sopravvivenza con il Rosatellum. Una soglia che, però, con l'accordo con Calenda, sarebbe superata agilmente e aprirebbe nuovi scenari.

A sinistra, intanto, parte il linciaggio social nei confronti di Calenda. Che sembra celare anche la rabbia nei confronti del segretario. Il fallimento dell'accordo con Azione significa- numeri alla mano- la perdita di altri 16 collegi nell'uninominale. Il centrodestra festeggia: rischia di vincere le elezioni senza dover fare neanche campagna elettorale. E Letta, da ieri sera, si sente già un ex segretario. 

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