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Elezioni politiche 2022, a sinistra scoppia la rissa sulla leadership

Angela Barbieri
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Ancora alleanza nel caos per Enrico Letta. Il segretario dem lavora ad uno schieramento a quattro punte: la lista «democratica e progressista» del Pd, con dentro Art.1 e Demos; il fronte repubblicano» di Carlo Calenda ed Emma Bonino; Europa Verde e Sinistra italiana (che hanno condiviso tutto il percorso delle Amministrative); e un polo civico, che metta insieme le esperienze politiche di Luigi Di Maio, Beppe Sala e Federico Pizzarotti. È questo lo schema al quale lavora Enrico Letta da giorni. Non c’è Italia Viva, anche perché Matteo Renzi chiude definitivamente la porta, annunciando che correrà da solo.

Alla direzione nazionale di ieri mattina il segretario del Pd chiede il mandato politico per provare a metterlo in campo. E non è un caso che, una volta ottenuto l’ok all’unanimità del parlamentino dem, il leader faccia il punto nel suo quartier generale di riferimento, la sede Arel, proprio con il sindaco di Milano e il ministro degli Esteri, fondatore di Insieme per il futuro. «Sono per ora contatti e incontri interlocutori per accompagnare la nascita di una lista civica - spiegano al Nazareno - Nei prossimi giorni si capirà se l’interlocuzione avrà dato i suoi frutti».

Il ruolo di Letta è più che altro, in questo caso, quello di facilitatore, ma ai piani alti del Pd l’auspicio è che l’operazione vada in porto, perché, «serve a controbilanciare una destra antieuropea e ormai sovranista». Al di fuori di quello che definisce «il trio dell’irresponsabilità», perifrasi che mette sullo stesso piano Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi colpevoli di aver fatto cadere il governo Draghi, Letta intende tentare il dialogo con tutti. Bisogna allargare il campo aperto, è il refrain, ferma restando la premessa di fondo: si tratta di un’alleanza «tecnica, di tipo elettorale», con l’obiettivo di essere in partita. «I programmi saranno diversi, lo sappiamo, ma il perimetro può essere comune». Parlando alla direzione nazionale Letta lo dice chiaro. «Il pareggio non è contemplato. O vince l’Europa del Next generation Eu, della speranza e del coraggio o vince l’Europa dei nazionalismi, di Orban di Marine Le Pen. Non ci sono terze vie. Per questo dico che la scelta è tra noi e Meloni».

 

 

 

 

 

Letta intende andare a recuperare anche gli elettori moderati di FI, «traditi» dalla scelta «suicida» del partito. «Convinciamo una parte di elettori che hanno votato lì». Il parlamentino dem condivide la linea, ma in tanti - off the record - ammettono un certo timore,  «la preoccupazione di fondo che alla fine tutto questo allargare metta a rischio il posto di chi in questi anni è cresciuto dentro il partito o sul territorio». Le liste verranno messe ai voti di una nuova direzione nazionale, che si riunirà tra il 9 e l’11 agosto. Non potranno candidarsi i sindaci dei comuni con oltre 20mila abitanti e gli amministratori regionali in carica, eccezion fatta per chi - vedi Nicola Zingaretti - è all’ultimo anno di legislatura. Stop anche a deputati e senatori «che abbiano ricoperto la carica di parlamentare nazionale per più di 15 anni consecutivi», con una "green card" per ministri e sottosegretari e per chi dovesse chiedere e ottenere una deroga.

Quanto al nome del premier, Letta parla chiaro: «La discussione ieri è stata surreale. A chi affila le armi dico che a palazzo Chigi si va perché gli elettori ti spingono e il Parlamento ti vota. Se volete, assumo completamente il ruolo e la responsabilità di front runner della nostra lista». Fa lo stesso, per sua parte Carlo Calenda, che alza la posta: «Se domani Draghi dicesse che non è disponibile come premier, allora mi candiderei io».

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