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Crisi di governo, Draghi alla Camera e poi in Quirinale: oggi le dimissioni

Daniele Di Mario
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Mario Draghi incassa la fiducia al Senato ma non ha più una maggioranza. Il suo governo finisce qui. La giornata più lunga dell'ex presidente della Bce prestato alla politica si conclude con il premier che esce da Palazzo Chigi alle 20.20 ma non sale al Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Le attese dimissioni non ci sono ancora e arriveranno questa mattina, quando Draghi salirà al Colle dopo aver annunciato il passo indietro alla Camera dov' è atteso per le 9. Poi si delineerà anche il calendario dei prossimi passaggi della crisi di governo.

A Palazzo Madama, la risoluzione presentata da Pierferdinando Casini in sostegno del premier (testo scarnissimi: «Udite le comunicazioni il Senato approva) e condivisa dal centrosinistra, su cui Draghi pone la fiducia, viene sì approvata, ma con numeri risicatissimi: appena 95 i sì. Lega e Forza Italia non partecipano al voto ed escono dall'Aula.

Il numero legale viene raggiunto solo perché il M5S - che pure non vota- decide di rimanere nell'emiciclo. Fiducia approvata, maggioranza in frantumi e governo al capolinea. È questo l'epilogo di una giornata cominciata prestissimo, alle 9.30 con le attese comunicazioni di Draghi, necessarie dopo le dimissioni rassegnate dal premier dopo che i 5 Stelle non avevano votato, giovedì scorso, il Dl Aiuti e respinte da Mattarella, che aveva rinviato Draghi alle Camere. Chi si aspetta un discorso conciliante resta subito deluso. Al presidente del Consiglio bastano 33 minuti per spiegare «le ragioni di una scelta tanto sofferta quanto dovuta».

Le interruzioni causate dagli applausi sono 18, non condivisi peraltro da tutta la maggioranza: alcuni passaggi sono condivisi da alcuni partiti ma non da altri e viceversa. L'unica standing ovation è per l'impegno a tenere le mafie lontane dal Pnrr, perché «è il modo migliore per onorare la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borselli no». Draghi rivendicai risultati raggiunti dal governo grazie anche ai partiti, un «miracolo civile» che lo rende «orgoglioso» ma- dice alle forze politiche di maggioranza - «il merito è vostro che con pari dignità vi siete impegnati». Poi però il patto di fiducia si è incrinato - ricorda Draghi - e «il desiderio di andare avanti insieme si è progressivamente esaurito».

Al M5S Draghi imputa «i tentativi di indebolire il governo in politica estera» e il non aver votato la fiducia, «un fatto grave impossibile da contenere perché chiunque può ripeterlo. Non si può minimizzare perché viene dopo mesi di ultimatum». Aut aut che riguardano anche la Lega. A Draghi l'atteggiamento del centrodestra di governo sul catasto non è piaciuto e glielo rinfaccia. Idem quello sui balneari. Per non parlare poi del sostegno alle proteste dei tassisti e delle continue richieste di indebitamento e nuovi scostamenti di bilancio. Il premier non chiude le porte ai partiti, ma pone alcune condizioni. «L'unica strada è ricostruire insieme questo patto di fiducia con generosità e responsabilità», perché - spiega - «lo chiedono gli italiani».

È solo per loro che Draghi si dice disponibile ad andare avanti. «La mobilitazione di questi giorni - dice - è senza precedenti, è impossibile da ignorare. È un sostegno immeritato ma di cui sono grato». In particolare, il premier si dice «fiero» in particolare del sostegno di «duemila sindaci» e di quello «del personale sanitario, gli eroi della pandemia».

Draghi rilancia l'agenda, ma le sue parole suonano come un prendere o lasciare. Il Pnrr da chiudere, certo, ma anche il Ddl Concorrenza (indigesto a Lega e FI) da approvare entro la pausa estiva, la riduzione delle tasse sul lavoro, la riforma fiscale con un nuovo sistema di riscossione. Quanto ai temi cari al M5S- spiega Draghi- il salario minimo è stato approvato in Europa e il governo andrà verso quella direzione, mentre il reddito di cittadinanza «va migliorato per favorire chi ha bisogno e ridurre gli effetti distorsivi sul lavoro», perché - dirà poi nelle repliche pomeridiane - «è una buona cosa ma se non funziona è una cosa cattiva». Idem il superbonus: «Il problema sono i meccanismi di cessione. Loro sono i colpevoli e migliaia di imprese stanno aspettando. Ora dobbiamo rimediare e tirare fuori dai pasticci migliaia di imprese in difficoltà».

Non manca un riferimento alla politica energetica che va «ridisegnata», anche attraverso i rigassificatori, tra cui quello contestatissimo di Piombino che «va realizzato entro primavera: è una situazione di sicurezza nazionale. Basta proteste contro queste infrastrutture». Quando alla politica estera, «armare l'Ucraina è il solo modo per permettere agli ucraini di difendersi» e alle minacce l'Italia, «Paese libero e democratico» deve rispondere «con i valori occidentali». Per fare questo -ammonisce - «serve un sostegno convinto all'esecutivo, non con proteste e toni violenti da parte della stessa maggioranza. Non serve una maggioranza di facciata che svanisce a ogni provvedimento contrario, serve un Parlamento che accompagni il governo con convinzione. Siete pronti a rinnovare questo patto? Sono qui perché gli italiani me lo hanno chiesto. Questa risposta dovete darla agli italiani».

Parole che non piacciono al M5S, ma neppure a Lega e FI. Salvini prima vede ministri e senatori, poi insieme con gli altri leader del centrodestra di governo va da Silvio Berlusconi a Villa Grande. Il Carroccio si definisce «stupito» da Draghi per le parole sul fisco, poi il centrodestra di governo ribadisce la propria linea, dicendosi «disponibile a un nuovo patto di governo per risolvere i problemi degli italiani con un nuovo esecutivo guidato ancora da Draghi ma senza M5S».

Il segretario leghista sente al telefono Mattarella, mentre tiene ripetuti contatti con il presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni, cui telefona anche Berlusconi. Poi il centrodestra decide di presentare in Senato una propria risoluzione per chiedere il Draghi bis senza il M5S di Giuseppe Conte, responsabile della crisi. Ma la situazione si è «incartata» e il quadro è ormai compromesso. I veti del centrodestra sul M5S (Draghi e il Pd da giorni ripetono che non può esserci governo se viene meno l'unità nazionale e quindi la presenza dei 5 Stelle è necessaria) da un lato e le accuse rivolte da Draghi a grillini e Lega dall'altro, rendono impossibile portare avanti il dialogo.

Il premier alla fine delle brevi repliche decide di porre la fiducia sulla risoluzione di Casini, scelta accolta «con grande stupore» dal centrodestra di governo, che ribadisce come lo stesso Berlusconi abbia in mattinata comunicato «personalmente a Mattarella la disponibilità a sostenere la nascita» del Draghi bis con un «nuovo patto», ma senza M5S. Disponibilità «confermata e ufficializzata nella proposta di risoluzione» di Calderoli e firmata da tutti i capigruppo del centrodestra di governo. Vicolo cieco. M5S, Lega e FI non votano la fiducia che passa lo stesso con numeri risicatissimi grazie ai voti di Pd, centristi e grillini e forzisti in libera uscita. La maggioranza non c'è più. E neanche il governo. 

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