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Crisi di governo, Draghi parla in Senato: è l'ora della verità. Il giorno più lungo

Dario Martini
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Oggi è il giorno della verità sul destino di Mario Draghi e del governo. Dopo cinque giorni d'attesa il presidente del Consiglio deciderà se confermare o ritirare le proprie dimissioni. Si comincia questa mattina al Senato, dove alle 9,30 terrà il tanto atteso discorso. Poi seguirà la discussione con gli interventi delle forze politiche.

Alle 16,30 è attesa la replica del premier. Alle 18,30 si inizierà a votare la fiducia. Solo domani toccherà alla Camera. In entrambi i rami del parlamento la formula della risoluzione che sarà sottoposta a senatori e deputati (appello nominale e voto palese sotto la tribuna) dovrebbe essere molto stringata: «L'Aula, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio le approva». Il punto, però, non è se Draghi otterrà o meno la fiducia. I numeri sono già dalla sua parte. A prescindere dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte che ha causato lo strappo.

Tra l'altro, diversi parlamentari del M5S sono già pronti a schierarsi dalla parte di SuperMario. Sono una decina al Senato e 25-30 alla Camera. Gli scenari possibili sono essenzialmente due. Il primo: Draghi cederà al pressing sempre più forte di coloro che gli chiedono di non lasciare. Anche Volodymir Zelensky si è aggiunto al coro dei suoi sostenitori. I due si sono sentiti al telefono nel pomeriggio di ieri. Al termine della conversazione, il presidente ucraino ha fatto sapere di averlo «ringraziato per il totale sostegno e la solidarietà del popolo italiano», sottolineando «il significativo contributo personale del primo ministro nel concedere all'Ucraina lo status di paese candidato all'adesione alla Ue».

Come se non bastasse, si sono mosse anche le agenzie di rating. Ficht e Moody' s fanno sapere che in assenza dell'ex banchiere centrale a guidare Palazzo Chigi la strada per portare avanti le riforme e risanare il bilancio italiano sarà in salita. Ma non solo. Sarebbero a rischio anche le riforme legate al Pnrr, essenziali per ottenere i fondi dalla Ue. Per Ficht il voto anticipato sarebbe una sciagura: «Con le elezioni estremamente i tempi per l'approvazione della legge di Bilancio sarebbero stretti. Potrebbero rendere più difficile per l'Italia raggiungere le pietre miliari per la prossima erogazione dei fondi NextGenerationEU a dicembre, o indebolire la capacità nel dispiegare i fondi già ricevuti».

Così, forte dei molteplici appelli a non dimettersi, nel suo discorso di questa mattina Draghi potrebbe gettare le basi affinché i partiti gli rinnovino la fiducia mollando definitivamente il Movimento 5 Stelle al suo destino. Questo è forse lo scenario più probabile, anche alla luce della giornata di ieri.

Nulla però è scontato. Ecco infatti il secondo scenario: il premier non aspetterà il voto di fiducia e nel suo intervento a Palazzo Madama confermerà le proprie dimissioni, ribadendo che senza il M5S non ci sono più le basi per restare alla guida del governo. Anche perché, se Conte dovesse clamorosamente tornare sui suoi passi, a quel punto verrebbe a mancare il sostegno del centrodestra.

Le trattative per un Draghi bis in questi giorni non si sono mai fermate. Anche la giornata di ieri non ha fatto eccezione. È iniziata con un incontro a sorpresa. Quello tra Draghi ed Enrico Letta a Palazzo Chigi. Alle 9 del mattino il presidente del Consiglio ha ricevuto nel suo ufficio a piazza Colonna il segretario del Partito democratico. Quest' ultimo ha cercato fino all'ultimo di recuperare Conte, ma complice l'aut aut del centrodestra, si è dovuto rassegnare al tramonto del "campo largo".

Letta ha raccontato di aver trovato Draghi «in ottima forma, molto determinato e focalizzato sulle cose da fare». Il faccia a faccia è durato circa un'ora e ha mandato su tutte le furie Lega e Forza Italia. A quel punto, per non surriscaldare ulteriormente il clima, fonti del governo hanno fatto sapere che a chiedere l'incontro è stato il leader del Pd e che il premier ha semplicemente accolto la richiesta. A quel punto, mentre Matteo Salvini riuniva i ministri e i sottosegretari leghisti per confermare la linea del partito (Draghi bis ma mai più con il M5S) Draghi saliva al Colle dal presidente della Repubblica. Il colloquio con Sergio Mattarella si inserisce nell'ambito dei «contatti interlocutori» che, dopo l'apertura della crisi di governo, si sono susseguiti a livello politico e istituzionale, anche perché è stato lo stesso capo dello Stato, la scorsa settimana, a chiedere al premier un passaggio alle Camere dopo aver respinto le sue dimissioni arrivate in seguito allo strappo del M5S sul dl Aiuti.

Nell'incontro, viene fatto notare da fonti qualificate, sicuramente il presidente del Consiglio ha informato Mattarella del suo viaggio in Algeria, da dove è rientrato lunedì sera. Il tema gas è una delle questioni più urgenti da risolvere, anche alla luce del piano energetico che la Commissione Ue si appresta a varare oggi.

Ieri sera, infine, sono arrivati gli ultimi segnali verso una ricomposizione della crisi. Silvio Berlusconi ha telefonato al premier e ha fatto in modo che Draghi ricevesse una delegazione del centrodestra di governo. All'incontro hanno partecipato Matteo Salvini, Antonio Tajani, Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi. La riunione è durata un'ora ed è finita attorno alle 20.45. Quindici minuti dopo Draghi ha lasciato Palazzo Chigi.

In tasca aveva il discorso che leggerà questa mattina in Senato. Come finirà? Sarà bene memorizzare le parole pronunciate da Matteo Renzi a fine giornata: «Gli incontri e le telefonate con il presidente del Consiglio non si dicono, si fanno e si cercano di risolvere i problemi. Domani (oggi, ndr) potremo dire tutto bene quel che finisce bene, qualcuno perde la faccia ma l'Italia non perde il governo».

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