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Sul dl Aiuti non passano le modifiche volute dal M5S. Doccia gelata sul Superbonus

Carlantonio Solimene
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Il timing è significativo. Giuseppe Conte ha lasciato da pochi minuti Palazzo Chigi dettagliando ai cronisti un ultimatum all'esecutivo che, in realtà, è tutto fuorché perentorio. Esattamente in quel momento arriva l'annuncio che il governo pone la questione di fiducia sul decreto Aiuti nella formulazione uscita dalle Commissioni della Camera. E cioè con la stretta sul reddito di cittadinanza e senza alcuna norma per «sbloccare» il Superbonus. Tutto quello che non volevano i grillini, insomma. Che, però, si accingono a votare sì alla fiducia, oggi, salvo astenersi lunedì nella votazione finale sul testo. Il classico modo per tenere il piede in due scarpe: al governo ma anche all'opposizione. L'accelerazione è stata resa necessaria dall'imperativo di approvare il provvedimento anche al Senato entro il 16 luglio, pena la decadenza del decreto. Un rischio che nessuno vuole correre, visto che nel testo sono previste misure vitali per contrastare il caro energia. In tutto sedici miliardi e mezzo di euro che comprendono, tra le altre cose, il bonus di 200 euro destinato ai cittadini con reddito fino a 35mila euro oltre che a disoccupati, pensionati, beneficiari del Reddito di cittadinanza, collaboratori, dipendenti o autonomi. Ci sono poi gli sconti in bolletta estesi al terzo trimestre per coprire gli aumenti su gas e luce per le famiglie meno abbienti.

 

 

E ancora le misure per calmierare il prezzo dei carburanti e i crediti di imposta per il consumo energetico delle imprese. Infine, un fondo da 200 milioni di euro per il sostegno alle attività danneggiate dalla crisi in Ucraina. A questo, però, va aggiunta la già citata stretta sul Reddito di cittadinanza, che prevede che a sottoporre ai percettori un'offerta di lavoro «congrua» possa essere anche direttamente un'impresa privata senza passare per i centri per l'impiego. E anche questa offerta concorrerà, se rifiutata, a provocare un decalage del sussidio di 5 euro dopo il primo diniego e addirittura la revoca dopo il secondo. Resta, naturalmente, anche l'articolo che facilita la costruzione del termovalorizzatore a Roma. Altra battaglia campale del Movimento finita in queste ore nel dimenticatoio. L'iter del decreto in Aula, però, ha allargato ulteriormente il solco tra le forze in maggioranza.

 

 

Tanto il centrodestra che i partiti centristi (Italia viva e Insieme per il futuro) hanno protestato per la decisione di porre la questione di fiducia. Prendendosela di fatto con Conte, il cui scontro con Draghi avrebbe rallentato i voti fino a rendere inevitabile la blindatura del testo. Il primo effetto è rappresentato dalle mancate modifiche al Superbonus, su cui le forze politiche avevano raggiunto un sostanziale accordo (l'obiettivo era facilitare la cessione dei crediti alle banche, in questo momento assai restie a licenziare le pratiche). Intesa che, però, si era scontrata con Palazzo Chigi e il Mef a causa delle mancate coperture: circa tre miliardi di euro. Il prossimo «treno» utile per apportare le modifiche potrebbe essere il Dl Semplificazioni. Questo, almeno, è quello che chiederanno i grillini. E da qui passerà anche la tenuta dell'esecutivo.

 

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