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Il centrodestra ora ha paura: “Subito un vertice per andare uniti”. Troppe liti nella coalizione

Pietro De Leo
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E ora? Il centrodestra si risveglia dai ballottaggi con in fila tutte le tessere di ciò che non va. A partire dalle tre sfide chiave del secondo turno, tutte perse, dove i partiti principali della coalizione schieravano sindaci uscenti. Alessandria (Lega), Monza (Forza Italia), Verona (Fratelli d'Italia). Anche Catanzaro, centro che ha impedito l'en plein dei capoluoghi di regione, brucia nella sconfitta. Con tutta la corona di dubbi per via della scelta ricaduta su Valerio Donato, al primo turno appoggiato da Lega e Forza Italia mentre Fdi correva con Wanda Ferro. Rispettabilissimo avvocato e prof universitario, ma proveniente da un'esperienza Pd. E poi c'è la ferita veronese. Qui, brucia il mancato apparentamento tra il qualificato allo spareggio Federico Sboarina, di Fratelli d'Italia, appoggiato anche dalla Lega, e Flavio Tosi, sostenuto da Forza Italia. Nonostante anche Salvini e la stessa Meloni premessero per l'apparentamento, l'ormai ex sindaco ha deciso di fare da solo, da Tosi evidentemente non è giunto un accorato «sostegno a prescindere» e il risultato è servito: Verona torna, dopo tempo immemore, al centrosinistra. Un pasticcio, considerando che la somma Sboarina-Tosi al primo turno arrivava al 56,55% (fare 1+1 è sempre sbagliato, ma pur riducendo ampiamente il margine, la vittoria quindici giorni fa sarebbe stata possibile).

 

 

L'altro aspetto chiave, poi, è l'astensionismo, favorito anche dal voto in un solo giorno, per di più una domenica torrida che ha rafforzato l'infelice tradizione degli elettori di centrodestra di preferire il mare o la scampagnata rispetto alle urne dei ballottaggi. Dunque, questo è il quadro steso al termine della tornata elettorale, da cui arriva un segnale chiaro: uniti si vince. Trasformarlo da mantra a garanzia politica è l'urgenza, considerando tutte le criticità esistenti. Anche a Palermo, va ricordato, dove il centrodestra ha vinto al primo turno, si è rischiato il patatrac, per svariate settimane i candidati in campo erano addirittura tre e solo in extremis si è trovata la sintesi su Lagalla, inizialmente proposto dall'Udc. Gli appelli arrivati tra domenica notte e ieri da tutte le colonne della coalizione, da Forza Italia a Fratelli d'Italia, dalla Lega a Noi con l'Italia affinché si tenga in tempi brevi un vertice ricorda la fotocopia di una dinamica già vista dopo la tornata (ben più rovinosa di questa) che vide la sconfitta a Roma, Milano, Napoli e Torino. Ritrovare uno spirito da «Squadra Italia», per dirla alla Michaela Biancofiore, non è un requisito, ma la prima cosa che conta per sfruttare pienamente quella competitività certificata dai sondaggi. In vista dei prossimi appuntamenti regionali, dove già si vedono fibrillazioni.

 

 

Il braccio di ferro sull'eventuale ricandidatura dell'uscente Musumeci in Sicilia (che vede contrari Lega e Forza Italia) è in corso da tempo. Ma problemi ci sono anche in Lombardia, dove a mettere subbuglio nel quadro c'è l'autocandidatura di fatto di Letizia Moratti, che nonostante al momento non trovi sponde nella coalizione, comunque si mette sul cammino dell'uscente leghista Attilio Fontana. E poi la coesione non è solo lapalissianamente importante pure per la tappa delle liste alle elezioni politiche, con questa legge elettorale. Ma anche per tutto quel che c'è nel mezzo, sia di tempo che di tappe. Vai a spiegare agli italiani che quel programma a cui stai lavorando è credibile se litighi un giorno sì e l'altro pure.

 

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