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Referendum giustizia, l'appello di Giovanni Toti: "Votare è l'inizio del cambiamento"

Pierpaolo La Rosa
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Giovanni Toti, presidente della regione Liguria e leader di Italia al centro. Perché occorre votare sì ai cinque referendum sulla giustizia?
«Nonostante il lavoro fatto dal governo guidato da Mario Draghi con la riforma della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che è un piccolo passo nella direzione giusta, in realtà sulla giustizia siamo all’inizio del cammino. Non credo che questo né il prossimo Parlamento abbiano la forza, la determinazione, la volontà politica di mettere mano a queste questioni, per cui i referendum rappresentano l’unico modo per provare a cambiare le cose. Credo e spero che i cittadini se ne rendano conto. Alcuni di questi argomenti sono tecnici, come ad esempio l’elezione del Consiglio superiore della magistratura, e dunque lo strumento referendario si attaglia fino ad un certo punto, ma la sola maniera per riequilibrare lo squilibrio tra i poteri dello Stato venutosi a creare nel nostro Paese sin dai primi anni ‘90 è proprio quella della via referendaria».
C’è un quesito referendario, tra i cinque su cui gli elettori si esprimeranno, che considera più importante degli altri?
«Sono un po’ tutti rilevanti i quesiti referendari su cui gli italiani saranno chiamati a votare. A me quello che ha fatto impressione è vedere la totale assenza di dibattito nel Paese e nelle Aule parlamentari dopo che è esploso il caso Palamara. In tutti questi anni si sono fatte commissioni parlamentari d’inchiesta su qualsiasi tema, su qualsiasi cosa, pure sull’arrivo delle rondini in primavera, ma nessuno è mai intervenuto sui meccanismi della giustizia. Quindi, a mio avviso, da questo punto di vista bisognerebbe andare oltre rispetto ai quesiti referendari, ma i referendum del prossimo 12 giugno sarebbero un buon inizio».
C’è, però, ancora tanto, troppo silenzio rispetto alla consultazione referendaria di domenica prossima...
«Da un lato penso che ci sia, purtroppo, una diffusa rassegnazione circa la reale volontà di cambiare il sistema giudiziario in Italia. E di fronte a questo, tutto sommato, molti pensano che sarebbe giusto votare sì ai quesiti, ma che tanto alla fine le cose non cambieranno. C’è, poi, il fatto di votare sui referendum insieme ad una tornata di elezioni Amministrative di piccole proporzioni, perché le grandi città dove si voterà sono Palermo e Genova. E per di più la consultazione si svolgerà a giugno inoltrato e a scuole finite. Infine, c’è la guerra, tutto quello che sta accadendo in Ucraina, la crisi energetica ed il caro materie prime. I media, l’opinione pubblica qualificata ed i cittadini tendono a considerare la riforma della giustizia come un problema "minore", tra virgolette, rispetto alle bombe che cadono ed all’aumento dei prezzi».
Il centrodestra è diviso su diverse tematiche, ma si ritrova compatto nel sostenere il sì ai referendum sulla giustizia.
«L’attenzione alla giustizia è sempre stata una costante del centrodestra fin dall’inizio. Ricordo che Umberto Bossi avrebbe voluto i pubblici ministeri eletti, come in qualche modo avviene negli Stati Uniti. Inoltre, c’è stata tutta la battaglia berlusconiana sulla separazione delle carriere. Purtroppo, la stagione riformista nel nostro Paese non è mai realmente cominciata».
Un centrodestra che sulla giustizia è sempre stato in prima fila in senso garantista.
«Il centrodestra è l’erede culturale delle forze politiche che sono state cancellate da Mani pulite e da Tangentopoli nei primi anni ‘90, quando l’arretramento del potere politico rispetto a quello giudiziario ha creato uno squilibrio. Questo, mentre un pezzo di sinistra si è indebitamente avvantaggiato dalla situazione di assoggettamento della politica alla giurisdizione, dallo squilibrio dei poteri e dallo strapotere di una certa magistratura. E anche quando la sinistra comprende, da un punto di vista di filosofia politica, che bisogna intervenire per riequilibrare il sistema, si rende conto che è fastidioso farlo contro chi ti ha dato una mano, volontariamente o involontariamente».
 

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