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Referendum 12 giugno, si vota per cambiare. La spiegazione del prof. Bartolomeo Romano: "Questa giustizia è al collasso"

Pierpaolo La Rosa
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Sui referendum sulla giustizia, sui quali si voterà il prossimo 12 giugno, abbiamo chiesto l'opinione di Bartolomeo Romano, professore ordinario di Diritto penale presso l'Università di Palermo, già componente laico del Consiglio superiore della magistratura ed attualmente vicepresidente del «Comitato sì per la libertà, sì perla giustizia».

Professor Romano, perché occorre votare sì ai cinque quesiti referendari?
«Perché la nostra giustizia è al collasso e occorre rimediare agli scandali che hanno colpito una magistratura che ha perso la fiducia dei cittadini. E questo non è un bene, perché la magistratura è un ordine importante dello Stato: ordine che bisogna proteggere cambiandolo in profondità. Lo ha detto persino il presidente Mattarella nel discorso per il suo secondo insediamento, in cui ha invocato un "profondo processo riformatore", ha sottolineato le "pressanti esigenze di efficienza e di credibilità, come richiesto a buon titolo dai cittadini", ha ammonito che "indipendenza e autonomia sono principi preziosi e basilari della Costituzione, ma il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza"».

In caso di vittoria del sì, come cambierebbe la giustizia italiana?
«Molto. Innanzitutto, avrebbe attuazione l'articolo 111 della Costituzione che, nel solco del processo accusatorio, richiede la presenza di un giudice terzo, e di pubblici ministeri e difensori che si confrontano su un piano di parità. Dunque, il primo referendum vuole evitare il cambio di funzioni tra giudici e pm. Il secondo referendum ha lo scopo di far votare gli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, consentendo giudizi più completi ed evitando che il Csm decida solo sulla base delle appartenenze correntizie. Il terzo propone di cancellare la norma che stabilisce che ogni candidatura al Csm debba essere sostenuta da un numero minimo di firme, per consentire a tutti i magistrati di potersi candidare. Il quarto cerca di limitare il ricorso alla custodia cautelare, inflitta nei confronti di chi "non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva", secondo l'articolo 27 della Costituzione. Infine, il quinto referendum propone l'abolizione della cosiddetta legge Severino, restituendo la voce ai cittadini, che devono decidere chi è meritevole di essere candidato e votato».

Per i fautori del no, i problemi legati alla giustizia non si risolvono con un istituto "tranciante" come quello del referendum. Cosa risponde?
«Non ho mai apprezzato i "benaltristi", che affermano sempre che occorre far altro, purché poi non si faccia nulla. Il Parlamento ha prodotto la tiepida riforma Cartabia, che non risolve certo tutti i problemi. Ed è la nostra Costituzione che prevede l'istituto del referendum abrogativo, all'articolo 75, con il quale è garantita la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica del Paese».

Come valuta lo sciopero dell'Anm fissato per oggi, legato alla riforma Cartabia?
«Credo che sia un segnale che il sindacato delle toghe lanci alla politica, rendendogli l'onore delle armi. È come se dicessero: "Avete fatto una riforma coraggiosa, ma non andate oltre..."». Finora regna un certo silenzio sui referendum. Perché i cittadini dovrebbero recarsi alle urne? «Per cambiare, per quanto possibile, lo stato della nostra giustizia. E per non lamentarsi sterilmente dopo». 

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