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M5s pacifista spaventa Draghi, in Parlamento la resa dei conti sulle armi in Ucraina

Dario Martini
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L'appuntamento è giovedì in Parlamento. Quando il premier svolgerà un'informativa urgente sugli sviluppi del conflitto in Ucraina, prima al Senato e poi alla Camera. Ma non è previsto alcun voto, come invece chiedono i 5 Stelle. Insieme al termovalorizzatore di Roma, questo è l'altro fronte caldo che vede Giuseppe Conte contrapporsi frontalmente a Mario Draghi. Sembra di essere già in campagna elettorale. Anche se in pochi credono che il leader pentastellato sia già disposto a tirarsi fuori dalla maggioranza. Essendo quella di giovedì una semplice informativa, le due assemblee parlamentari non saranno chiamate ad esprimersi sulle risoluzioni.

Un voto potrebbe esserci però a fine mese, quando Draghi tornerà in Aula per le comunicazioni in vista della riunione straordinaria del Consiglio europeo del 30 e 31 maggio, dove si parlerà di energia, Ucraina e difesa. Conte ha dovuto ingoiare il boccone amaro del terzo invio di armi a Kiev, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 13 maggio, quando Draghi era appena tornato dal viaggio negli Usa.

Ma il leader grillino ha già avvertito il premier: «Abbiamo dato armi a sufficienza, adesso l'Italia deve essere in prima fila per la pace». Il problema è che il terzo decreto interministeriale, firmato anche da Luigi Di Maio in qualità di ministro degli Esteri, potrebbe non essere l'ultimo. Se la guerra non si fermerà, nulla esclude che in futuro possa esserci una quarta spedizione di forniture militari. Draghi e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini si sono sempre mostrati decisi e non hanno mai preso in considerazione le richieste grilline di subordinare gli invii di armi al via libera del Parlamento.

Per il premier e per il ministro del Pd basta e avanza il voto di marzo al decreto Ucraina, che ha autorizzato il governo a non passare più dalle Camere ogni volta che vuole inviare armi a Zelensky. Il Conte "pacifista", che ha in Draghi ormai un avversario dichiarato, deve fare i conti anche con l'ala "dimaista" del Movimento, che non lo ha mai accettato veramente come capo. Il responsabile della Farnesina, però, cerca di mostrare unità di vedute: «Tutti stiamo lavorando per la pace» e «da ministro di questo governo e appartenente al Movimento 5 Stelle provo una congruenza totale rispetto a quello che sto facendo perché la forza politica a cui appartengo è stata molto responsabile» e ha «stabilito che si potevano dare aiuti all'Ucraina rispettando il principio della legittima difesa», dare «aiuti finanziari all'Ucraina» e «abbiamo accolto tutti i pacchetti sanzioni che abbiamo portato avanti a livello europeo».

Ma il supporto militare a Kiev non è l'unico tema che agita la maggioranza. C'è ancora da sbrogliare la matassa della presidenza della commissione Esteri del Senato. Anche in questo caso i 5 Stelle sono protagonisti, dopo le dimissioni di tutti i componenti (ad eccezione dell'ex M5s Dessì) per costringere il filo putiniano Vito Petrocelli a lasciarne la guida. Cacciato Petrocelli, si è aperta la grana Ferrara, l'altro grillino prima dato per favorito e poi costretto a ritirarsi a causa di alcune sue esternazioni considerate troppo ostili all'America. La commissione dovrebbe riunirsi mercoledì per procedere all'elezione del nuovo presidente. Alla vigilia della seduta, domani, è prevista una riunione di maggioranza per uscire dall'impasse. 

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