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Fine dei giochi per Vito Petrocelli, sciolta la Commissione Esteri. Il filo-Putin resta da solo, tutti dimessi

Pietro De Leo
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Alla fine, è andata. La Giunta del Regolamento ha risposto con parere favorevole al quesito della Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati sullo scioglimento della Commissione Esteri di Palazzo Madama. Si ricomincia daccapo, l’organismo dovrà essere rinnovato entro il 13 maggio. Finisce così un paradosso, l’ennesimo, della politica parlamentare italiana. In tempo di guerra, in tempo di agenda di nuovo monopolizzata dalle nostre relazioni internazionali, in tempo in cui il nostro posizionamento sullo scacchiere è alquanto decisivo, la Commissione Esteri di Palazzo Madama è stata piantata, per oltre un mese, in uno di quei casi ove l’ostinazione ideologica si mescola con la politica-spettacolo, e il resistere diventa unico presupposto di esistere. È il racconto delle settimane vissute rumorosamente da Guido Petrocelli, l’ormai ex presidente pentastellato che si è contrapposto alla linea del partito del governo e del partito sull’Ucraina, non ha lesinato scivolate filorusse tra cui il richiamo sui social alla «Z» (il 25 aprile per questo ci fu un vero e proprio putiferio mediatico), la lettera raffigurata sui tank utilizzati per l’invasione ordinata dal Cremlino.

 

 

Di «vendetta politica» scriveva ieri il diretto interessato, quando le agenzie battevano la riunione della Giunta del Regolamento. Tuttavia il caso si è trascinato per svariate settimane, peraltro creando l’ennesimo problema al Movimento 5 Stelle per svariati motivi. Il primo riguarda i ruoli: il Movimento, infatti, è il partito del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. È il partito guidato da Giuseppe Conte che ha già molti fronti aperti con il governo. È il partito che sulla vocazione atlantista ha molto da dimostrare, considerando certe suggestioni filocinesi e filovenezuelane degli scorsi anni. Tuttavia, su Petrocelli la linea è stata chiara: richiesta di dimissioni ed avvio di procedura di espulsione dal Movimento, anche se a detta del diretto interessato almeno a ieri non era giunta alcuna comunicazione. E il senatore che si arrocca sulla linea della resistenza ad oltranza, persino suscitando la moral suasion di un altro che, tanti anni fa, ebbe a vivere analoga situazione: Rosario Villari. Solo che non c’era una guerra di mezzo, ma semplicemente una beffa tirata dall’allora centrodestra al Pd in Commissione Vigilanza Rai (e peraltro proprio su quel precedente si è basato il quesito su cui la Giunta del Regolamento, ieri, si è pronunciata). E allora ecco che l’unica soluzione possibile è stata la «Bomba H» (in senso figurato, ovviamente), ossia le dimissioni di tutti i componenti della Commissione.

 

 

Solo uno, stoicamente, ha «resistito» affianco al resistente: Emanuele Dessì, anche lui eletto nei 5 Stelle ma attualmente unico rappresentante parlamentare del Partito Comunista di Marco Rizzo. Nel frattempo, il fenomeno Petrocelli ha oltrepassato il confine del noioso diario delle beghe politiche, conquistando un piccolo angolo di celebrità, da «sconosciuto geologo di Matera» a simbolo delle suggestioni, per non dire penetrazioni, russe nella politica italiana. Dopo l’esito della giunta del regolamento, ieri gridava ancora alla «vendetta politica» contro di lui «da parte di tutti i gruppi parlamentari» e ventila l’ipotesi di un ricorso alla Corte Costituzionale. Come quei soldati giapponesi (non russi), che non si rassegnavano alla fine della guerra. O quegli attori di teatro mai domi di fronte al fatto che il sipario prima o poi si chiude.

 

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