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Bene il golden power sulle gare per l'idroelettrico, ma serve più coraggio

Riccardo Mazzoni
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Il governo ha rafforzato il golden power – la disciplina sui poteri speciali che serve a tutelare asset ritenuti strategici dalle incursioni straniere – estendendolo anche alle «concessioni di grande derivazione idroelettrica» con l’aggiunta che i poteri speciali potranno essere esercitati dallo Stato anche nei casi in cui l’affidamento sia di competenza regionale. L’operazione è stata inserita, attraverso alcuni emendamenti, nel decreto Taglia prezzi, e viene descritta come uno scudo inviolabile per proteggere i nostri asset in campo energetico dagli speculatori internazionali. Ma è proprio così? Per avere un quadro chiaro della situazione è necessario fare un breve riassunto delle puntate precedenti: l’Italia è l'unico Paese Ue che ha introdotto procedure di concorrenza aperta sui rinnovi delle concessioni idroelettriche, ed è evidente che l’apertura unilaterale del mercato da parte di un singolo Stato membro – facendo cadere il principio di reciprocità ed omogeneità - determinerà di fatto regole da mercato asimmetrico, con la potenziale perdita di parte dell’enorme patrimonio idroelettrico italiano. Un rischio denunciato a più riprese non solo dagli operatori del settore, ma dallo stesso Copasir, che in un documento del gennaio scorso ha messo in guardia dall’apertura delle gare a società estere in uno degli ambiti in cui l’Italia presenta un notevole vantaggio competitivo, con il conseguente indebolimento del nostro sistema industriale.

 

 

Questo in un momento in cui è assolutamente necessario garantire la sicurezza energetica nazionale a causa delle tensioni culminate con la guerra in Ucraina. I pasdaran della concorrenza gridano allo scandalo, ma indire gare ad evidenza pubblica per riassegnare strategiche concessioni idroelettriche mentre nel resto d’Europa vige il protezionismo è a tutti gli effetti un atto contrario all’interesse nazionale, visto peraltro che le procedure di infrazione comunitarie sono state rimosse. Il rinnovo delle concessioni diventa dunque un passaggio sempre più cruciale nell’attuale crisi degli approvvigionamenti, sia perché l’idroelettrico è a nullo impatto ambientale, sia perché assicura una produzione totalmente nazionale. Il golden power è stato attivato per scongiurare il rischio di veder finire parti del settore idroelettrico nelle mani di fondi stranieri anche sovrani ed estranei al nostro sistema di alleanze. Ma se l’obiettivo è tutelare l’interesse nazionale e strategico del settore idroelettrico, il golden power applicato a valle di gare europee su singole concessioni rischia di rivelarsi uno strumento quantomeno inefficace, uno scudo di cartone.

 

 

Ad oggi, le notifiche in operazioni di M&A (acquisizioni o fusioni) di asset idroelettrici non hanno infatti mai portato a esiti negativi, e non potrebbe essere diversamente. Salvo che non si tratti, appunto, di fondi sovrani di Paesi non democratici oggetto di sanzioni, appare alquanto complicato che il governo - a valle di gara - possa opporre esito negativo all’affidamento di singole concessioni a operatori di Paesi stranieri, anche extra-Ue, in cui non è garantita la reciprocità. Un esempio per tutti: se una società italiana ha una partnership con un fondo di investimento australiano e questo intende partecipare alle gare per vedersi riassegnare le concessioni, sempre in joint venture, come opererebbe il golden power in caso di notifica? Bloccherebbe gli australiani, nonostante sia quantomeno complesso il concretizzarsi della «reciprocità» con l’Australia? Ultima ma illuminante annotazione: nel 2021 i procedimenti di esame sul Golden Power sono stati 496 - tutti per operazioni di M&A in diversi settori - e solo sei sono quelli che negli ultimi anni si sono conclusi con il veto.

 

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