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Partito Democratico e Movimento 5 Stelle dicono no a tutto e condannano Roma e l'Italia

Benedetta Frucci
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Non è bastato che Roma finisse sui media mondiali per la quantità di immondizia abbandonata nelle strade. E non è servito neppure che la guerra in Ucraina facesse emergere in tutta la sua drammaticità la totale dipendenza dell’Italia dal punto di vista energetico, risultato anche dei veti di estrema sinistra, grillini e ambientalisti, che poi in Italia sono da sempre un tutt’uno. Il fronte del no a tutto, il partito della decrescita, continua ad essere compatto e agguerrito nel sogno di trasformare l’Italia in un Paese del terzo mondo. E così, di fronte alla sacrosanta volontà del sindaco Gualtieri di dotare la Capitale di un termovalorizzatore, si sono schierati i soliti noti. Il suo stesso partito, il Pd, si è dilettato in quella che è da sempre la capacità più fulgida dei dem: la guerriglia interna. Basta leggere le parole che Marco Miccoli, già segretario romano zingarettiano, ha scritto su Facebook, per capire il clima: «Non so se la giunta comunale e la maggioranza capitolina funzionino come una caserma. So che un partito non può funzionare come una caserma». E ancora: «La mancanza di ogni forma di confronto dentro al Pd romano e dentro il centrosinistra tutto, sta diventando inaccettabile».

 

 

Già, l’eterno confronto. Le discussioni di ore e giorni nelle sezioni fra compagni, spaccando il capello mentre il Paese attende una decisione, mentre Roma annega nella sporcizia. Roba che forse poteva essere accettabile negli anni ‘70, non certo oggi. Ma d’altronde, stiamo parlando del partito che ha boicottato nel 2016 il referendum indetto dal suo stesso segretario. E anche in quest’occasione, i più maligni potrebbero pensare che la guerra al termovalorizzatore non sia mossa da motivi ideali, ma sia solo un’occasione per rompere il sistema di potere di Gualtieri da parte di quel pezzo di partito che si sente estromesso dalle stanze dei bottoni. Certo, il sindaco potrebbe andare comunque avanti grazie all’appoggio del centrodestra, di Italia Viva e dei calendiani, ancora una volta uniti in quello che potremmo chiamare il partito dello sviluppo. Ma il problema si fa più complesso, se si considera che per realizzare il termovalorizzatore serve anche l’appoggio della Regione, dove la maggioranza è composta da Pd e 5 Stelle e dove Roberta Lombardi si è dichiarata ovviamente contraria. E allora, il problema resta sempre lo stesso: in Italia i partiti, le coalizioni, restano unite in nome delle ideologie, delle bandierine destra e sinistra, anziché unirsi sui temi, che poi significherebbe fare quello che la politica è chiamata a fare, vale a dire esercitare il potere per il bene comune.

 

 

Di fronte a una Roma rimasta bloccata per 5 anni dalla giunta Raggi, privata della possibilità di sviluppo che le Olimpiadi le avrebbero dato, l’appello al sindaco può essere solo uno: vada avanti, se ne infischi delle stantie divisioni «destra» e «sinistra» e pensi al bene dei romani. Al contempo il Pd, decida da che parte andare: se da quella della decrescita e della vecchia sinistra, restando abbracciati al Movimento Cinque Stelle, o da quella postideologica del riformismo. L’Italia - e Roma - hanno pagato già ad un prezzo troppo alto, fatto di disagio, posti di lavoro persi, mancanza di infrastrutture, le manie ideologiche di qualche fricchettone invecchiato male. La trasparenza nei confronti dell’elettorato non sta nel definirsi di destra o di sinistra, ma nell’indicare il modello di società che si vuole costruire. Il paradigma novecentesco dell’ideologia si schianta infatti con un mondo globalizzato e sempre più veloce. Un mondo che impone alla politica una scelta fra due direzioni: quella del futuro o quella dell’arretratezza, dove non c’è più tempo, nè spazio, per i vetusti confronti interni consumati sulla pelle dei cittadini.

 

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