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Governo, maggioranza sempre più fragile: tana libera tutti nei partiti. La legislatura è già finita

Daniele Di Mario
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Come segretario generale della Nato si vedrebbe benissimo. Certo, la concorrenza c'è, ma lui ha tutte le carte in regola per succedere a Jens Stoltenberg. E poi, male che vada, nel 2024 c'è sempre la possibilità di diventare presidente della Commissione Europea. Normale che Mario Draghi si stia guardando intorno, perché in fin dei conti anche lui si è reso perfettamente conto che la legislatura di fatto è finita, anche se tecnicamente non si voterà (a meno di clamorosi colpi di scena) prima del marzo 2023. Il rapporto con i partiti della maggioranza s' è invece consumato in una fredda mattinata prenatalizia.

Era il 20 dicembre quando il Presidente del Consiglio lasciò balenare la disponibilità a succedere a Sergio Mattarella al Quirinale. Pensava di trovarsi davanti un tappeto rosso, invece tutti i partiti gli sbarrarono la strada. L'unica disposta a parlarne era Giorgia Meloni, ma la leader di Fratelli d'Italia e dell'opposizione poneva come condizione il voto anticipato dopo l'elezione del Presidente. Un'ipotesi che probabilmente il diretto interessato non contemplava, ma, soprattutto, non la contemplavano i partiti. Meglio lasciarlo lì a Palazzo Chigi, perché portarlo al Colle avrebbe significato trovare un difficilissimo accordo per reperire un nuovo premier che garantisse la tenuta di una maggioranza tanto eterogenea. Impossibile.

Avanti con Draghi, quindi, al quale è toccato pure di dover chiedere a Mattarella la disponibilità per un secondo settennato visto lo stallo in Parlamento e l'incapacità dei leader di maggioranza dimettersi d'accordo su un nome condiviso. È allora che sono cominciati però i veri problemi. Perché Draghi ha smesso di fare sconti ai partiti, divenendo sempre più insofferente a quelli che a lui debbono sembrare capricci. E le forze politiche, dal canto loro, hanno cominciato a smaniare contro un premier chiamato a furor di popolo per portare fuori il Paese dall'emergenza Covid e dalla crisi economica che ne è conseguita, ma troppo ingombrante per i partiti, di fatto privati di sovranità parlamentare e prerogative a colpi di voti all'unanimità in Cdm e provvedimenti blindati. Lo scoppio della guerra in Ucraina, coincisa più o meno con la fine dell'emergenza Coronavirus, ha reso ancora più indispensabile Draghi a Palazzo Chigi, ma con condizioni politiche mutate rispetto al suo insediamento.

Perché, a conti fatti, la legislatura è agli sgoccioli. A Draghi mancano pochi mesi di governo: dopo l'estate saremo già in campagna elettorale. Così è naturale che più ci si avvicinerà alla fine della legislatura più i partiti tenderanno a prendere le distanze dal premier e dai provvedimenti più controversi. Le prime avvisaglie di ciò che accadrà a settembre si sono già viste. Giuseppe Conte per rinsaldare la propria leadership e non farsi scappare di mano il M5S - già sin troppo diviso - ha posto il veto sull'aumento delle spese per la difesa dall'1,4 al 2% del Pil.

Nonostante un ordine del giorno votato da maggioranza e opposizione- ma non dal M5S - impegnasse il governo ad aumentare le spese in linea con quanto chiestoci dalla Nato, il provvedimento non è mai stato inserito nel decreto Ucraina. Se ne parlerà più avanti. E comunque, per l'aumento delle spese militari c'è tempo: aumenteranno sì, ma entro il 2028. Campa cavallo. E chissà dove starà Draghi, costretto a cedere davanti a Conte per blindare la maggioranza e tenere in piedi il governo. Una sconfitta per un premier che nel suo discorso d'insediamento aveva fatto dell'atlantismo un totem e che per compiacere gli alleati sta dicendo e facendo molto più dei nostri partner europei, come Francia e Germania. Ed è magari anche per questo che un pensierino al ruolo di segretario generale Draghi lo fa eccome.

E che dire di delega fiscale e riforma della giustizia? Sul fisco - in particolare sulla riforma del catasto, ma anche su affitti e risparmio - Draghi è dovuto scendere a compromessi con il centrodestra di governo. Lega e Forza Italia hanno chiesto modifiche al testo, che sono state accordate. Le parti torneranno a vedersi dopo Pasqua. Quanto, invece, alla riforma del Csm, il testo del governo è passato in Commissione, ma con l'astensione di Italia Viva.

La giustizia è divenuto uno dei tratti distintivi della linea politica di Matteo Renzi, che in Senato annuncia battaglia e la tenuta della maggioranza non è scontata. Stesso discorso per il Ddl Concorrenza con le concessioni balneari e le liberalizzazioni. Insomma, solita storia: i provvedimenti passavano e passano in Cdm con una unanimità di facciata, ma in Parlamento la questione cambia, con i partiti a proporre migliaia di emendamenti e il governo a dover mediare, salvo decidere di porre la fiducia (ma spesso dopo aver eliminato le norme più contestate). Sarà sempre peggio. Ma i problemi non riguardano solo i rapporti governo-maggioranza. Anche i partiti hanno i loro grattacapi.

La modifica della legge elettorale con il ritorno al proporzionale sembra oggi molto improbabile. L'attuale legge elettorale, con la quale si voterebbe se le Camere venissero sciolte oggi, obbliga alle coalizioni. E qui nascono i problemi. Il centrodestra deve ritrovare l'unità e una comune visione progettuale, sia in termini di programmi che di architettura politica.

Il centrosinistra, invece, semplicemente ancora non esiste. C'è il Pd, certo. Con il segretario Enrico Letta che vorrebbe allearsi con il M5S. Ma non tutti tra i Democratici sono d'accordo, viste le divergenze politiche e programmatiche tra i due partiti. E pure tra i 5 Stelle i distinguo non mancano. Conte, poi, deve mediare tra le diverse sensibilità, tra l'ala governista e quella movimentista, tra le insidie rappresentate da Luigi Di Maio e Virginia Raggi e la difficoltà di arrivare a un'alleanza strutturale col Pd che lo convince fino a un certo punto, ma che con questa legge elettorale è inevitabile. Già perché con il crollo delle percentuali e il taglio dei parlamentari da 945 a 600 (400 deputati e 200 senatori) garantire la rielezione a tutti è impossibile.

E che ne sarà del vincolo del doppio mandato? E poi ci sono i collegi uninominali dove le alleanze pesano. E lo stesso discorso vale a ben guardare per Pd, Lega e FI. È Fratelli d'Italia l'unico partito che è certo di moltiplicare il numero degli eletti. Normale quindi che anche dentro i singoli partiti ci siano fibrillazioni, mal di pancia, distinguo, riposizionamenti, fuoriuscite. Senza contare i movimenti al centro dello schieramento, con Italia Viva e i centristi di centrodestra alla ricerca d'un assetto che li renda anche centrali. La legislatura è già finita, ma prima che finisca davvero ciascuno si tiene le mani libere per riorganizzarsi. Tana libera tutti.

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