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Caro Giuseppe Conte nell'M5S non sei il benvenuto: è ora che qualcuno glielo dica

Riccardo Mazzoni
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Giambattista Vico aveva immaginato la storia come un succedersi di corsi e di ricorsi, una teoria che ora andrebbe aggiornata alla luce delle vicende kafkiane del Movimento Cinque Stelle, la cui esistenza è punteggiata solo di ricorsi, un destino che era scritto nell'atto costitutivo del monolite politico grillino, nato per abolire la democrazia rappresentativa e instaurare quella giudiziaria, e che si è visto decapitare il nuovo aspirante leader proprio dalla magistratura. Un poco edificante spettacolo da teatro dell'assurdo, con l'avvocato del popolo messo in trappola dai suoi stessi cavilli burocratici, degna conclusione di una rivoluzione visionaria finita sommersa dalla giungla di codicilli interni che ha alimentato in questi anni la democrazia eterodiretta da una ristretta oligarchia. Dunque la resistibile ascesa di Conte ai vertici del Movimento si sta trasformando in una tragicommedia a puntate su cui nessuno sa quando scenderà il sipario.

 

 

Già, perché dopo la prima bocciatura per via tribunalizia, l'ex premier ha rimesso pazientemente in moto il meccanismo della rielezione, e lo ha preso talmente sul serio da buttarla perfino in politica, presentandosi come l'improbabile restauratore della purezza originaria per mobilitare gli iscritti e scongiurare che lo scontato plebiscito percentuale sprofondasse nella miseria di un pugno di voti in valore assoluto. Tra un penultimatum a Draghi sulle spese militari e un altro alla fronda interna che non verrà più tollerata, l'ex premier ha riposto la pochette per indossare l'elmetto, ma prima ancora di conoscere l'esito del voto si è di nuovo impantanato nella guerra dei bottoni di cui i grillini sono specialisti. Già, perché mentre ieri gli iscritti stavano ancora votando sulla piattaforma Skyvote, è arrivato l'annuncio di un altro ricorso dopo quello che a settembre aveva messo in crisi l'intera organizzazione pentastellata, e a sottoscriverlo questa volta saranno molti più di tre, in un grottesco gioco dell'Oca che assomma tutte le anomalie di un modello artefatto di democrazia spacciato per democrazia diretta. Altro che luogo di confronto "al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi", che riconosce "alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi".

 

 

In realtà, il Movimento è stato fin dall'inizio un partito-azienda, personale e autocratico. Finita l'era di Casaleggio senior, e nonostante il carisma di Grillo ammaccato, gli usi della casa sono rimasti: è cambiata solo la piattaforma, ma il prodotto è rimastolo stesso: un'inguardabile finzione con un unico candidato imposto dal vertice - Conte - e la facoltà blindata di dire sì al sistema o astenersi. Nemmeno ai tempi di Breznev e di Khomeini appariva un solo nome sulle schede elettorali, perché quei regimi avevano almeno il falso pudore di salvare la forma. Ma non accostiamole tragedie della storia alle farse grilline: qui parliamo di un Movimento che non riesce neppure ad eleggere il suo capo, e di un leader in pectore che, pur non avendo nemmeno un rivale, si premura perfino di avvertire che se il risultato sarà striminzito lui non lo accetterà.

E' solo l'ultimo capitolo di una lunga serie di vicende e aneddoti ai confini della realtà e della democrazia: come quando la parola finale sulla formazione del governo di unità nazionale fu demandata agli iscritti di una piattaforma privata al cui verdetto avrebbe dovuto inchinarsi il premier incaricato dal Capo dello Stato. Del resto, il Movimento era nato per destrutturare la democrazia rappresentativa, poi la contaminazione con il potere lo ha trasformato in un camaleonte pronto a cambiare colore e alleanze, e per il quale è indifferente stringere patti con i gilet gialli o votare la Von der Leyen in Europa. Un coacervo di ex "vaffa" e di interessi sfociato nel trasformismo più spregiudicato, sullo sfondo di un concetto di democrazia interna che è sempre rimasto totalitario, tra risse, delazioni ed espulsioni per deviazionismi e tradimenti, fino al colmo della verifica su chi ha messo o no un like all'ultimo videomessaggio di Conte. Una deriva simil-orwelliana in una comunità sospesa in un perenne vuoto politico e sempre in attesa del prossimo ricorso.

 

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