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Mario Draghi e la botta ai partiti che gli hanno negato il Quirinale: "Il futuro? Un lavoro me lo trovo da solo"

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Carlantonio Solimene
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La «botta» della mancata elezione al Quirinale è stata forte, impossibile negarlo. E se anche Mario Draghi provasse a dissimulare l’amarezza per un sistema politico che prima l’ha chiamato al suo capezzale e poi l’ha respinto nel momento decisivo, a tradirlo ci sarebbero i toni della prima conferenza stampa post Mattarella bis. «Un lavoro so trovarmelo da solo» è la frase da titolo della chiacchierata, pronunciata con meno ironia del solito. E dentro, in fondo, c’è già tutto. C’è la volontà di non essere tirato per la giacchetta dagli aspiranti costruttori del cartello centrista.

Ma c'è anche la stizza verso chi per lui prevede già altri incarichi e, soprattutto, il malcelato disprezzo per tutta la classe politica, mancava solo che aggiungesse «a differenza vostra». Se non è un «vaffa-day», insomma, poco ci manca. E si vedrà se le parole pronunciate ieri modificheranno qualcosa nel rapporto tra il premier e la sua maggioranza, un po' come accadde nell'infausta conferenza stampa di fine anno in cui per la prima volta palesò le ambizioni quirinalizie.

LA MIGLIOR MEDIAZIONE POSSIBILE SUL CSM 
Draghi si presenta ai microfoni per descrivere la mediazione raggiunta sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura. E, almeno su quel punto, i toni sono concilianti. Perché - nonostante i compromessi - alcuni obiettivi raggiunti sono stati importanti. Lo stop alle cosiddette «porte girevoli» tra politica e magistratura e la riforma del sistema di voto per i membri del Csm, che dovrebbe erodere il potere delle correnti di predeterminare l'esito delle elezioni. Per il resto, per i nodi rimasti, si lascia il compito di trovare la sintesi al Parlamento, evitando di mettere la fiducia sul provvedimento un po' perché Mattarella ha appena chiesto di preservare le prerogative delle Camere, un po' perché si stresserebbe troppo una maggioranza che sul tema al suo interno contiene sensibilità agli antipodi.

SCHIAFFO AI PARTITI
Sono però i temi più politici della conferenza a far venire fuori tutta l'asprezza di Draghi. Avviene quando gli si chiede se in qualche modo si riconosce nel ruolo di «federatore» che alcuni partiti al centro - immaginano per lui nell'immediato futuro. La risposta non potrebbe essere più netta: «Lo escludo». Potrebbe fermarsi lì, il premier, ma aggiunge una battuta: «Tanti politici mi candidano in tanti posti, mostrando una sollecitudine straordinaria. Io li ringrazio di cuore, ma vorrei rassicurare che se decidessi di trovare un lavoro dopo questa esperienza, un lavoro lo troverei da solo...».

Subito vengono in mente le parole pronunciate, qualche ora prima, dal coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani: «Mario Draghi sarebbe un eccellente presidente del Consiglio europeo o della Commissione europea». Possibile, ma di certo non grazie alla mediazione dei partiti che gli hanno negato il Quirinale. E che, segnatamente, possono anche scordarsi qualsiasi ipotesi di rimpasto: «La squadra funziona benissimo così». Discorso chiuso. vere il freno al Superbonus, di fatto fermatosi nelle ultime settimane. Qui l'attacco ai 5 stelle è frontale. Innanzitutto il premier smonta la narrazione della misura cara a Conte come traino fondamentale della crescita: «L'edilizia ha dato un contributo pari all'1% al totale della crescita che è stato del 6,5%, ma non è che l'edilizia senza superbonus non funziona. L'edilizia si è giovata sicuramente di questo, ma non bisogna pensare che senza superbonus l'edilizia italiana non vada avanti, altrimenti tutti i Paesi che non hanno il superbonus starebbero a zero con l'edilizia, ma non è così». Il piatto forte però deve ancora arrivare: «Per inciso, alcuni di quelli I che più tuonano oggi sul superbonus, sul fatto che queste frodi non contano, che bisogna andare avanti lo stesso, che l'industria non può aspettare... alcuni di loro sono quelli che hanno scritto questa legge, dove è stato possibile fare quello che si è fatto senza controlli». Una botta durissima, al punto che lo stesso Draghi, più avanti, richiede la parola per correggere il tiro: «Il governo vuole che il meccanismo funzioni e quindi vari correttivi dovrebbero trovare posto in un emendamento su cui sta lavorando il Ministero dell'Economia insieme al Parlamento». Non basta, però, a evitare la stizzita reazione dei Cinquestelle, che accusano Draghi di aver fatto confusione. E, in effetti, il ministro dell'Economia Daniele Franco spiega che dei 2,3 miliardi di frodi già accertate (sui 4 miliardi «sospetti», «la più grande truffa che questa Repubblica ricordi») solo una minima parte riguardano il 110%, mentre il grosso attiene agli altri bonus edilizi. E fonti del M5s annunciano la richiesta di un'informativa urgente proprio del ministro dell'Economia.

È LA FASE TRE DI DRAGHI?
Difficile che il premier se ne faccia un cruccio. L'impressione è che ieri abbia in qualche modo voluto lanciare un segnale ai partiti, chiamati ad abbandonare velleità propagandistiche. L'anno preelettorale non significherà aprire i cordoni della spesa. Si farà solo quello che si deve. Ad esempio sull'energia, dove l'intervento che sarà licenziato la prossima settimana - intorno ai 4-5 miliardi di euro - servirà innanzitutto a proteggere quella crescita che è l'unica strada per rendere sostenibile il debito pubblico. E sulle norme sulla concorrenza, che per mantenere i patti con l'Europa dovranno essere approvate «grosso modo entro marzo». Il cambio di passo, semmai ci sarà, si limiterà all'atteggiamento di Draghi, che da un lato rifuggerà le mediazioni tipiche delle settimane precedenti la partita del Quirinale, dall'altro proverà a rendersi più «empatico» con l'opinione pubblica. A questo mira il tour - anche se a Palazzo Chigi rifuggono questa etichetta - che vedrà il premier impegnato in varie città della penisola nelle prossime settimane. Un modo per comunicare quanto si sta facendo e rafforzare una popolarità che resta l'unica arma per evitare «agguati» dai partiti. Da questo punto di vista un primo mattone Draghi l'avrebbe voluto mettere già ieri, quasi «invocando» una domanda sulla pandemia che gli sarebbe servita per annunciare una sorta di calendario delle riaperture e che, però, non è arrivata. Possibile che sia stato anche questo a renderlo particolarmente «spigoloso».

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