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Il caso Giorgetti e il Conte ferito, per Draghi la strada è tutta in salita

Carlantonio Solimene
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Se fossimo a Hollywood sarebbe il «The end». Ma siccome siamo nella realtà, la rielezione di Mattarella non archivia i problemi della politica e del Paese. Anzi, quando il presidente non è stato ancora (ri)proclamato, già arrivano le prime scosse alla maggioranza di governo col caso Giorgetti - dimissioni prima paventate, poi quasi annunciate, poi negate - e la richiesta di incontri sulla linea politica recapitata a Draghi tanto da Salvini che da Conte.

Ecco, la prima questione è: il governo esce rafforzato o meno da questo passaggio? Mario Draghi non ha vinto la battaglia ma non l’ha neanche persa, come sarebbe accaduto se al Quirinale si fosse accomodato qualcuno di diverso da lui, da Mattarella o da Amato. Chi ha perso di sicuro sono stati i partiti incapaci di trovare un’alternativa al bis. Eppure questa sconfitta che lascia macerie politiche un po’ ovunque - e in particolare in Lega, Movimento 5 stelle e Forza Italia - rischia di riversarsi pesantemente sull’attività del governo. Perché nell’anno pre elettorale Salvini ha bisogno di qualche successo da agitare per far dimenticare il calvario di questi giorni. E perché Giuseppe Conte potrebbe usare i distinguo sull’attività del governo per rendere complicata la vita del suo ormai conclamato rivale interno, il draghiano Luigi Di Maio. Riuscirà un Mario Draghi restituito all’antico decisionismo dall’addio alle ambizioni quirinalizie a sedare questi grandi e piccoli terremoti? Difficile prevederlo.

Non fossero bastati giorni di veti e litigi tra «alleati» di governo, anche le ore successive all’accordo hanno dimostrato quanto l’auspicio di Mattarella - il sì legato alla stabilità di governo - sia di difficile realizzazione. Di mattina esplode il caso Giorgetti. «Per alcuni questa giornata porta al Quirinale, per me porta a casa» sbotta intorno alle 11.30. Al cronista dell’Agi che gli chiede se intenda lasciare il governo arriva una conferma: «È una ipotesi, magari c’è da migliorare la squadra...».

Il ministro per lo Sviluppo economico sarebbe stufo del «fuoco amico», del modo in cui non vengono comunicati i successi del suo lavoro. Una rabbia diretta non solo agli alleati di governo ma, almeno inizialmente sembra così, anche al suo stesso partito. Poi, alle 17, viene diffusa una lunga nota dalla portavoce al Mise in cui Giorgetti chiede l’apertura di una «nuova fase» nel governo e «un nuovo tipo di metodo di lavoro che permetta di affrontare in maniera costruttiva i tanti dossier, anche divisivi, per non trasformare quest’anno in una lunghissima, dannosa campagna elettorale che non serve al Paese». Poi Giorgetti e Salvini si chiariscono e il segretario fa sua la battaglia del ministro. «Questi sei giorni non devono essere il prossimo anno al governo - dice il capo del Carroccio - Se Giorgetti lavora per risolvere il problema dell’Ilva e qualcuno all’interno della maggioranza fa l’esatto contrario... a questo si riferiva il Ministro sulla "messa a punto". Se c’è maggioranza con un ministro che lavora, non ci può essere un alleato che disfa».

Salvini dovrebbe incontrare il premier nei prossimi giorni, ma al momento la Lega chiede solo un cambio di metodo, sebbene non sia escluso che la proposta si estenda e porti alla richiesta di modifiche nella composizione dell’esecutivo. Il punto è che proprio la conferma di Mattarella dovrebbe blindare i due ministri maggiormente attaccati dalla Lega, Roberto Speranza alla Salute e Luciana Lamorgese all’Interno. Difficile che un Carroccio uscito a pezzi dalla battaglia del Quirinale possa alzare a tal punto le ambizioni da pretendere poltrone così delicate.

Anche Conte prova a leccarsi le ferite scaricando i problemi interni sul governo. Lo fa con una dichiarazione apparentemente conciliante - com’è nello stile del personaggio - ma poi sottolineando come il M5s sia il «partito di maggioranza relativa» e, di conseguenza, vuole essere ascoltato di più: «Noi non possiamo limitarci ad assicurare genericamente continuità di governo», aggiunge. «Dobbiamo essere promotori di questo confronto per siglare un patto per i cittadini, nell’ambito del quale individuare delle priorità e un programma incisivo». Parole ambizione. Che non fanno i conti però con Di Maio. Se Conte, del ministro degli Esteri che ha bloccato l’operazione Belloni dice solo che «verrà il tempo dei chiarimenti», l’ex capo politico replica in maniera molto più dura: «Alcune leadership hanno fallito, basta con i giochini, va avviata una riflessione interna anche al Movimento 5 stelle». Praticamente un annuncio di guerra nucleare. Dal canto suo il premier intende rispondere con il lavoro che ripartirà già domani con il Cdm che dovrebbe uniformare le regole di tutte le scuole su quarantene e misure anti-Covid. Al resto si penserà con calma. Ogni giorno ha la sua pena. 

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