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Vent'anni di euro e di crisi. Paragone insorge: "Troppe celebrazioni e i danni vengono negati"

Gianluigi Paragone
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Vent'anni di euro. Un buon tempo per fare un bilancio serio, asciutto al netto della retorica europeista. Siccome non accadrà perché la liturgia del fanatismo non prevede critiche, allora anch' io scriverò tutto il peggio che questi «eurovent' anni» hanno portato ai danni degli italiani. Troppo facile partire dalle parole di Romano Prodi, quelle per cui avremmo lavorato «un giorno in meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più»: l'idiozia della frase era chiara già dopo il primo mese di euro, figuriamo ora che siamo nel gennaio del 2022, tempo nel quale possiamo anche rinfacciare che il mercato del lavoro è stato brutalmente accartocciato a favore dei grandi gruppi multinazionali che possono spostarsi - magari dopo aver preso i soldi dai governi - qua e là dove conviene loro di più. Senza dire di come l'Europa non abbia minimamente saputo affrontare la sfida delle migrazioni, squilibrando ancor più il mercato del lavoro. Quindi, sistemato Romano Prodi (quello che doveva diventare presidente della Repubblica sette anni fa), veniamo a un altro candidato al Colle (iddio ce ne scampi e liberi), Giuliano Amato. Ecco cosa ammise: «Abbiamo fatto una moneta senza Stato. Eravamo pazzi? Qualche esperimento nella storia lo avevamo visto di monete senza Stato, di valute comuni, di unioni monetarie, ma per la verità non erano stati molto fortunati. E allora ci siamo convinti, e abbiamo cercato di convincere il mondo, che sarebbe bastato coordinare le nostre politiche nazionali per avere quella zona, quella convergenza economica, quegli equilibri economico-fiscali interni all'Unione europea, che servono a dare forza reale alla moneta.(..) Era difficile che funzionasse e ne abbiamo visto tutti i problemi». Buuum, un'ammissione di colpevolezza in piena regola.

 

 

Sempre Amato, nella stessa lezione affidata alle telecamere della Rai, sottolineò l'importanza di avere una vera banca centrale capace di affrontare le emergenze con emissione di moneta sovrana: qualcuno è ancora convinto che i marchingegni finanziari creati sull'asse Bruxelles-Francoforte, dal Mes (che sta entrando nelle finanze dell'Italia senza che nessuno ne parli) al Pnrr, stiano nella stessa dinamica del prestatore di ultima istanza ma così non è e ce ne renderemo conto più avanti. A febbraio faremo 30 anni dai trattati di Maastricht e già lì si doveva capire come sarebbe andato a finire il film: se non è la politica a guidare i processi economici e sociali, lo farà qualcun altro. Poiché un governo europeo non c'è, poiché una Costituzione non c'è, ecco che nella stanza dei bottoni ci entrano gli spiriti di un mercato finanziario sempre più cannibale e (pre)potente. Da qui il progressivo passaggio di paradigma da una economia reale a una economia finanziaria, con il risultato che il mondo delle micro imprese e delle pmi viene sacrificato sull'altare dell'europeismo. Di un europeismo che tra l'altro ha distrutto il sistema bancario italiano che, con tutti i limiti, ha permesso la gemmazione dei distretti industriali.

 

 

Il predicato delle regole di Basilea ha invece obbligato il cambiamento di pelle delle nostre banche con i risultati che solo i nostri piccoli imprenditori ben conoscono; a differenza dei grandi gruppi e delle multinazionali che invece hanno approfittato delle nuove regole. Con il vantaggio di poter anche appoggiarsi a normative di elusione fiscale ben congegnate da paesi membri dell'Unione europea stessa. Per chiudere, due parole sugli imprenditori balneari i quali proprio in nome del "«e lo chiede l'Europa» si vedranno sfilare il frutto del loro lavoro, un lavoro che dovremmo imparare a conoscere nei mesi freddi dove il mare aggredisce i litorali. Con le prossime aste i grandi gruppi verranno a fare la spesa in Italia. Così un altro pezzo della nostra bellezza verrà gestito da stranieri.

 

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