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Europa dalla moneta unica alla pandemia: a distanza di vent'anni cosa c'è da fare

Angelo De Mattia
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Venti anni fa, il 2 gennaio del 2002, era il secondo giorno della circolazione dell'euro come moneta cartacea e non più, come fino  al precedente 31 dicembre,soltanto moneta scritturale (di conto). Si trattò di una straordinaria innovazione perché, per la prima volta, si dava vita pienamente a una unificazione monetaria senza un'effettiva unificazione economica e, peggio ancora, senza un'unione politico-istituzionale: insomma, la "zoppia" di cui spesso parlava il Presidente Carlo Azeglio Ciampi.

A fronte degli effetti indubbiamente positivi dell'introduzione della moneta unica stanno quelli negativi dell'architettura complessiva dell'Unione che continua a stare in mezzo al guado, da un lato non avanzando il processo di integrazione e, dall'altro, trascurandosi del tutto il principio di sussidiarietà , in base al quale ciò che può essere fatto ai livelli inferiori non va accentrato, che i Padri dell'Europa  ritenevano essere un principio fondamentale del processo di unificazione.

L'Italia all'Unione monetaria ed economica arrivò, nel 1998, non adeguatamente preparata. Il merito principale, però, dell'ammissione, che poi fu decisa, fu della Banca d'Italia che, con la leva della politica monetaria allora nella sua piena disponibilità, stroncò le aspettative di inflazione e ricondusse i differenziali Btp-Bund - che allora pochissimi consideravano - dagli oltre 800 punti -  base sotto i 200 per poi diminuire ulteriormente. Nel marzo del 1998, il "genitore" della Bce, l'Ime, era chiamato a dare il proprio parere sulla possibilità di ammettere alla moneta unica i Paesi che ne avevano fatto richiesta.

Nel corso della riunione conclusiva su questo argomento, l'Italia e il Belgio, innanzitutto per il livello del debito, non erano ritenute ammissibili. L'allora Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, riteneva che per una partecipazione solida alla moneta comune occorresse avere effettuato le necessarie riforme di struttura, evitando così al nostro Paese il rischio di essere un vaso di coccio costretto a viaggiare con vasi di acciaio. Insomma, per fondate ragioni, Fazio non era entusiasta dell'operazione. Poteva anche ricordare ciò che un suo autorevole predecessore, Paolo Baffi, aveva scritto nel 1989, poche settimane prima di venire a mancare, sull'unione monetaria che sin da allora si progettava, la quale, priva dell'unificazione della politica economica e fiscale, nonché di quella " tout court" politica, avrebbe subito i contraccolpi che tanto tempo prima Baffi aveva previsto e che si sono, poi, puntualmente verificati.

Fazio, però, nonostante le riserve rafforzate dalla sua straordinaria cultura economica, mostrò piena lealtà al Governo che aveva deciso l'adesione in questione e difese strenuamente l'ammissione dell'Italia, anche facendo riflettere sulle conseguenze della mancata partecipazione e della conseguente  libertà del movimento del cambio da parte della Banca d'Italia. Alla fine, la spuntò e l'Italia fu ammessa alla moneta unica sin dalla prima fase sia pure con la segnalazione di qualche preoccupazione. Il passaggio all'euro non avvenne con i necessari controlli che avrebbero potuto stroncare manovre speculative che pure furono attuate.

Il doppio regime di circolazione - lira ed euro - durò soltanto due mesi, fino al 28 febbraio del 2002. I vantaggi in termini di tassi di interesse e di sistema dei pagamenti, a venti anni di distanza, sono significativi. Fondamentale è stato il ruolo della Bce, anche se l'acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario è un'operazione che  era da tempo adottata con successo dalla Banca d'Italia, quando era nel pieno possesso delle leve monetarie, insieme con le banche ordinarie. Ma non è venuto meno quello che Fazio denominò come " bradisismo economico" per il quale se le economie degli altri Paesi crescono, quella italiana cresce di meno ( a volte, molto di meno); se calano, la nostra economia cala  di più, con la conseguenza complessiva di un lento scivolamento verso il basso.

Sono gli effetti del mancato superamento del  difetto originale,  soprattutto per l'incompletezza delle riforme strutturali (che oggi tutti riconoscono, mentre in passato diversi avevano criticato la posizione di Fazio) e per la perdurante separatezza della politica monetaria dalla "fiscal policy" e dalla politica" sic et simpliciter".

Le regole economiche e finanziarie,  introdotte sotto il prevalente influsso della Germania e dei suoi "satelliti", a cominciare dal Patto di stabilità, sono state espressione di un miope rigorismo che, nelle fasi di crisi, ha accentuato le difficoltà. L'austerity per lungo tempo è diventata un dogma, ma con effetti deleteri. Ciononostante, si è perseverato nell'errore, come i cerusici di un tempo  i quali, poiché i salassi non davano gli effetti sperati, ritenevano che ciò fosse dovuto alla ridotta quantità di sangue estratto dalle sanguisughe e allora aumentavano le dosi fino a causare, pur non volendolo, la morte del paziente per dissanguamento. Oggi, il tema della riforma della governance economica è diventato centrale. La pandemia ha definitivamente smascherato l'inadeguatezza, se non la dannosità, di diverse regole.

Il Patto di stabilità, sospeso fino a tutto l'anno che ora comincia, deve essere sostanzialmente riformato. Sono diversi i Paesi dell'Eurozona che condividono questa esigenza, benché vi siano poi i Paesi cosiddetti frugali che vorrebbero lasciare tutto immutato, anche se alcuni di loro ammettono che si potrebbe incidere non sulle regole ma introducendo una flessibilità nella loro applicazione.

Altri, tra i quali l'Italia, sembrano  fermarsi a metà nell'avviare, per ora in via informale, proposte di revisione, quali la parziale messa in comune, a livello europeo, dei debiti , una " golden rule" per gli investimenti pubblici limitata ad alcune categorie di operazioni, un innalzamento dei parametri deficit-Pil e, soprattutto, debito-Pil, un intervento sulla spesa dei singoli Paesi.

Si sostiene, poi, l'esigenza di un Ministro delle Finanze unico a livello europeo per superare l'accennata zoppìa dell'economia rispetto alla moneta. Ma soprattutto quest'ultima operazione non potrebbe essere disgiunta, se veramente si vuole l'esercizio paritario da parte dei diversi Paesi della sovranità al più alto livello e non la mera perdita delle sovranità nazionali, da una generale revisione delle istituzioni e degli organi dell'Unione, nonché del loro collegamento con la sovranità popolare.

La Conferenza in corso sul futuro dell'Europa è l'occasione per proposte e progetti in questa direzione. Ma questi  riguardano non  solo gli argomenti citati, ma  anche le banche, la Vigilanza su di esse e la relativa normativa; salendo ancora, si incontra, tra l'altro, la politica estera dell'Unione quasi insistente, il ruolo in campo sanitario, come dimostra la vicenda purtroppo in corso della pandemia.

Si tratta di un riconcepimento secondo una linea di evoluzione che, però, includa l'accennata applicazione, finalmente, del principio di sussidiarietà. Dall'euro, dunque, all'architettura istituzionale europea, alle politiche generali. L'Unione ha venti anni: una parte degli organi funziona bene, un'altra no. Non mancano lacune. Si tratta di agire con tempestività ed efficacia.

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