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Gaffe sul Quirinale, Letta minaccia Berlusconi rievocando il "metodo" Leone

Benedetta Frucci
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Mentre veniva approvata la norma sulla presunzione di innocenza, sacrosanto intervento che tenta, pur nelle difficoltà, di mettere un freno alla vergognosa commistione fra stampa e magistratura che prospera in Italia, il segretario del Pd Enrico Letta si lasciava andare a un commento che, letto fra le righe, suona molto stonato: «L’elezione di un Presidente della Repubblica con 505 voti, modello Leone, in questo momento sarebbe una grave ferita istituzionale portata al Paese. Chi si assume la responsabilità di questa scelta fa secondo me un danno al Paese».

 

Tralasciando il fatto che Letta finge di dimenticare il precedente di Giorgio Napolitano, il riferimento a un’eventuale elezione di Silvio Berlusconi al Colle appare chiaro: innanzitutto Leone fu eletto al ventitreesimo scrutinio, con 518 voti su 1008, una candidatura non condivisa quindi, come sarebbe quella del Cavaliere.

Le similitudini però non finiscono qui: fu un candidato riferibile all’ala destra del Parlamento, a partire dalla Dc, con l’apporto fra gli altri del PLI e soprattutto, quello determinante dell’MSI.

 

La sua elezione portò a un cambio significativo degli equilibri, se pur di breve durata, poiché spostò l’asticella del Governo verso il centro-centrodestra.

Ma soprattutto, la figura di Giovanni Leone, è purtroppo ricordata da tutti per il caso Lockheed dove fece da padrona la commistione ideologica fra stampa e politica.

Nel 1976 l’Italia venne investita da uno scandalo internazionale, riguardante l’acquisto di aerei da parte del Ministero della Difesa in cambio di tangenti. Contro Leone partì una ferocissima campagna di stampa, soprattutto da parte di Camilla Cederna, su L’Espresso, che portò il Presidente alle dimissioni. Le accuse si rivelarono da subito false e infondate.

La Cederna non chiese mai scusa, ammise solo parzialmente di aver attinto a fonti non particolarmente affidabili. In particolare disse di essersi ispirata alle agenzie OP di Mino Pecorelli.

Una metodo da macchina del fango che ricorda il modus operandi di alcune trasmissioni tv e di un giornale che spesso, in questi anni, hanno preso di mira Silvio Berlusconi per poi virare su Matteo Renzi e Matteo Salvini, tornati nuovamente all’attacco del Cavaliere dimenticato non appena si è fatta concreta la sua candidatura al Quirinale. 

Non solo: non bisogna dimenticare che i tentativi di screditare Leone partirono da prima dello scandalo Lockheed, attraverso un attacco sistematico alla vita privata dei suoi familiari e ai riferimenti, guarda un po’, a festini, tradimenti, pettegolezzi della peggior specie.

Leggendo quella storia, appare quanto meno evidente la connotazione ideologica di quell’attacco.

Per questo il riferimento di Letta, che vorrebbe dipingersi come un riformista e un moderato, ha un sapore amaro e stonato. A chi conosce la storia di Giovanni Leone difficile che quelle parole non appaiano infatti come una minaccia, un monito diretto a Silvio Berlusconi, ma credendo nella buona fede del segretario dem, si può certamente dire che il paragone è quanto meno di pessimo gusto. Sia nei confronti della famiglia Leone, che tanto dolore ha subito, sia nei confronti del destinatario del messaggio.

 

Quando si dimise, l’allora Presidente espresse un auspicio: «Sono certo che la verità finirà pei illuminare presente e passato e sconfessare un metodo che, se mettesse radici, diventerebbe strumento fin troppo comodo per determinare la sorte degli uomini e le vicende della politica. A voi e al nostro Paese auguro progresso e giustizia nel vivere civile». Auspicio purtroppo rimasto irrealizzato: quello che è accaduto in seguito è stato, infatti, il radicamento del metodo del fango, consacratosi con Tangentopoli e diventato prassi nella Seconda Repubblica.

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