Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Un museo a Montecitorio, Rampelli fa la guerra a Napoleone: "Togliete quel quadro"

Valeria Di Corrado e Alberto Di Majo
  • a
  • a
  • a

Sembra una beffa, ma a presidiare l’ingresso dell’anticamera del vicepresidente della Camera c’è Napoleone Bonaparte. È un ritratto dipinto da Andrea Appiani, di proprietà della Pinacoteca di Brera e «in deposito temporaneo» a Montecitorio dal 1927. Il generale, cinto dalla corona d’alloro, veste l’abito di velluto verde, ricamato con quadrifogli e foderato di seta, indossato in occasione dell’incoronazione a re d’Italia.

La tela si colloca tra le testimonianze più tarde della vasta silloge dei ritratti napoleonici del pittore, inaugurata già nel 1796, anno dell’arrivo di Bonaparte a Milano. Appiani entrò subito nelle sue grazie con un riuscitissimo ritratto a carbone e gessetto su carta brunella, tanto che l’appena ventisettenne generale gli conferì il titolo di «commissario superiore» per scegliere le migliori opere d’arte lombardo-venete da spedire a Parigi. L’esistenza di numerose repliche di questo ritratto denota la notevole fortuna del prototipo, anche in ragione della consacrazione di Appiani a «notre premier peintre» sancita da Napoleone nel 1805.

I francesi farebbero di tutto per averlo, invece il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli non vede l’ora di liberarsene. «Quando facciamo gli accordi bilaterali con la Francia, come il recente Trattato del Quirinale, dovremmo cercare di ottenere indietro una parte delle opere trafugate al popolo italiano da Napoleone Bonaparte, i famosi "bottini di guerra". Dentro l’Unione europea ci dovrebbe essere un trasferimento quasi automatico e indolore tra uno Stato e un altro, quando si tratta appunto di furti. Noi invece, paradossalmente, abbiamo nell’anticamera della vicepresidenza addirittura il ritratto di Napoleone. Mi sembra una collocazione del tutto impropria, per questo voglio toglierlo da lì».

«Per carità, Bonaparte è stata una figura importante della storia dell’umanità - riconosce Rampelli - né possiamo leggerlo con le categorie della contemporaneità perché all’epoca gli imperatori cercavano di accaparrarsi pezzi di territorio che non gli appartenevano e le relative ricchezze attraverso i bottini di guerra. Però uno Stato che sia sensibile alla cultura, come l’Italia che di cultura vive, deve porre il problema».

Al posto del ritratto di Napoleone, «io ci metterei una bella opera leonardiana - conclude Rampelli - a sottolineare il fatto che da Vinci era ed è italiano, nonostante la Francia (che è molto più furba di noi) abbia cercato, in occasione dei 500 anni dalla sua morte, di farlo passare per francese. La Gioconda, quella del Louvre, possiamo considerarla un prestito benevolo concesso ai cugini d’Oltralpe in circostanze occasionali».
 

Dai blog