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Non solo la Gioconda. Quadri, sculture e arazzi: l'immenso tesoro della Camera dei deputati

Valeria Di Corrado e Alberto Di Majo
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La Gioconda Torlonia, dimenticata per quasi cent’anni in un ufficio, è solo uno dei 134 dipinti che si trovano, o si dovrebbero trovare, a palazzo Montecitorio. Una collezione da fare invidia ai musei . Dai dati aggiornati al 31 dicembre scorso, infatti, risulta che i beni artistici presenti alla Camera dei deputati sono 4.857, di cui 4.305 di proprietà. Nell’elenco ci sono 526 dipinti, 82 busti, 92 sculture, 86 tra tappeti e arazzi, 98 reperti archeologici, 245 oggetti artistici di vario tipo e, incredibile a credersi, ben 3.176 tra disegni, stampe, incisioni, litografie e acquerelli. A questi beni se ne aggiungono 552 di proprietà di terzi (musei, collezioni private, Soprintendenze, ecc.), che la Camera tiene in deposito temporaneo. Un «deposito temporaneo» che in alcuni casi diventa definitivo, come accaduto con la Gioconda Torlonia: di proprietà della Galleria nazionale di Arte antica di palazzo Barberini, prestata a Montecitorio nel lontano 1925.

 

 

 

Ma dove si trovano tutte queste opere d’arte? Girando per i corridoi e le stanze dei deputati, se ne può osservare solo una piccola parte. Per esempio, nel percorso che porta dal transatlantico alla galleria dei presidenti c’è il “Quinto Stato” di Mario Ceroli (ispirato al «Quarto Stato» di Pellizza da Volpedo): una tavola gigante ultimata nel 1984 dallo scultore fiorentino e inaugurata nel 2008 dall’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti. Nella sala Salvadori, dove si riunisce il gruppo della Lega, c’è la “Battaglia tra cristiani e barbareschi”: un dipinto lungo circa 4 metri e alto 2,5 della scuola napoletana, risalente al XVIII secolo. “Quello splendido quadro era nostro e adesso lo vedete soltanto voi leghisti”, si sfoga un deputato di Fratelli d’Italia, mentre accenna un sorriso amaro al collega. Spesso, infatti, gli onorevoli si contendono le opere più belle, per arredare i loro uffici. Una piccola guerra sotterranea, quella dell’arte, dove i partiti di maggioranza hanno ovviamente la meglio. E così, spesso, con il cambio di legislatura, si assiste al trasloco di quadri, sculture e arazzi, da uno studio all’altro.

 

 

 

La collezione si è arricchita con il passare del tempo. C’è stata una fase di mecenatismo più spinto negli anni Sessanta e Settanta, quando sono stati acquistati dipinti come la “Casa rosa” di Giorgio Morandi, “Composizione” di Mario Sironi, “Carro siciliano e carrettiere” e “Cristo deriso”, entrambi di Renato Guttuso, “Combattimento di gladiatori” di Giorgio De Chirico. Ma, nonostante la spending review, durante i 5 anni della presidenza di Laura Boldrini sono stati comprati altri 107 beni artistici. Nel 2015, in particolare, 50 tra stampe e litografie “per esigenze di arredo degli uffici e locali delle sedi Camera”; come se non bastassero quelli già presenti. Nel 2016, sempre «le esigenze di arredo di uffici e di locali di rappresentanza hanno determinato un incremento complessivo di 33 beni, 29 dei quali appartenenti alla categoria "disegni, stampe, incisioni, ecc.", e 3 alla categoria "oggetti artistici di vario tipo": 2 crocefissi e un barometro». Chissà chi era il deputato che aveva l’esigenza di misurare la pressione atmosferica... Il punto è che, girando per palazzo Montecitorio dopo aver sfogliato il catalogo delle opere, ne mancano all’appello tante. In quali locali si trovano? Sorge il dubbio, quindi, che non siano conservate come dovrebbero.

“Io ero presidente della Commissione che ai tempi di Violante si era occupata di restituire le opere prestate dai musei alla Camera - spiega Vittorio Sgarbi -. Vennero quindi riportati indietro quadri di Tintoretto e Luca Giordano e in cambio i musei, come compensazione, hanno donato a Montecitorio dipinti che avevano nei magazzini e non esponevano, magari di grandi dimensioni, come quelli risorgimentali di Palazzo Pitti, Uffizi e Capodimonte. Poi abbiamo fatto una campagna di acquisti di opere d’arte contemporanea, ad esempio di De Dominicis e Bergomi. All’epoca - precisa Sgarbi - questi artisti, dopo aver fatto una mostra organizzata dal Parlamento stesso, lasciavano in donazione un loro dipinto. È tutto agli atti. Ci sono poi opere di grande valore di Morandi e de Pisis che stanno ancora nella stanza del presidente della Camera”. Proprio Roberto Fico (M5S) e uno dei vice, Fabio Rampelli (FdI), hanno deciso di raccogliere alcune opere d’arte che erano disseminate in studi di deputati, corridoi o nei magazzini, per allestire un nuovo spazio espositivo nella sala Aldo Moro, al secondo piano dell’ala berniniana del palazzo. È qui che si trovano la “Gioconda da Leonardo da Vinci” (fino a pochi mesi fa stava nella stanza del questore) e il “Ritratto di Napoleone Imperatore e Re d’Italia” di Andrea Appiani, di proprietà della Pinacoteca di Brera e in “deposito temporaneo dal 1927”.

 

 

 

Alcune perplessità sulla manutenzione delle opere conservate a Montecitorio le ha anche il senatore leghista Stefano Candiani, che ha seguito il restauro della Gioconda Torlonia e del Salvator Mundi della bottega di Leonardo: “Alcuni dipinti non hanno restauri da almeno un secolo - attacca il senatore - Tanti sono abbandonati nei corridoi e molti parlamentari li considerano delle suppellettili”. Ma c’è anche un’altra questione: “Non si capisce dove si trovino molte di queste opere”. Per chiarire i dubbi, Candiani annuncia che presenterà un’interrogazione al governo Draghi: “Condivido l’idea, avanzata alla fine dell’Ottocento, che i palazzi delle istituzioni ospitino una rappresentanza di capolavori dell’arte italiana ma la disattenzione e l’ignoranza li hanno trasformati, in molti casi, in oggetti di arredamento. È ora di fare piena luce su dove siano e come siano curati”.

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