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Fisco, una riforma che serve poco. Draghi offre un caffè

Franco Bechis
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Mario Draghi è diventato presidente del Consiglio per dare una svolta a un'Italia che decideva poco e male. Si è scelto un uomo che di politica qualcosa masticava, essendone dipeso in quasi tutta la sua vita, di salute pubblica non aveva alcuna esperienza, ma che aveva un curriculum tecnico preciso: la sua esperienza era evidentemente economica. Arriva sul tavolo del suo governo un dossier economico chiave, quello sul fisco. E il nostro premier decisionista che fa? Si tira indietro, non decide proprio nulla e lascia la palla ai partiti. Questi hanno trovato una intesa su una riforma fiscale che apparirà in molti loro discorsi come mezza epocale, sarà sfruttata da ognuno di loro come slogan di una campagna elettorale che potrebbe essere alle porte. Forse riforma è una parola grossa, ma insomma i partiti hanno deciso di utilizzare una piccola somma - 7 miliardi di euro - per modificare le aliquote Irpef esistenti (5), lasciando invariate la più bassa e la più alta, e abolendone una delle tre intermedie (quella al 41%), abbassando l'aliquota delle altre due, che passano dal 27 al 25% e dal 38 al 35%. Detta così sembra da applausi, ma secondo i modelli econometrici già utilizzati nelle relazioni tecniche alle precedenti manovre sull'Irpef, il semplice ritocco delle aliquote verrebbe a costare sulla carta più del doppio della cifra a disposizione. E infatti non avverrà così, ma come già accadde ai primi due moduli della riforma varata durante il secondo governo Berlusconi da Giulio Tremonti, si dovrà accompagnare a un contemporaneo taglio delle tax expenditures oggi previste dalla legge (e censite anni fa dall'allora dirigente della Banca di Italia, Vanni Ceriani), riducendo quindi almeno su certe fasce di reddito le detrazioni e deduzioni per compensare almeno parzialmente la riduzione dell'Irpef.

Cosa hanno scelto i responsabili dei partiti? Una cosa semplice: sottrarre 7 miliardi al totale delle entrate fiscali cumulate, comprendendo nel totale sia i famosi 80 euro (diventati poi 100) di Matteo Renzi, che tutto il sistema delle tax expenditures. L'idea è quella di spalmare su tutta la platea dei contribuenti un po' di quella riduzione, e quindi al momento è davvero difficile capire chi ne trarrà vantaggio. Non ci sono indicazioni precise, e le semplici aliquote dicono poco. Non conoscendo quindi come sarà la divisione del pollo di Trilussa, possiamo solo calcolare la media. Quello sconto da 7 miliardi di euro significa un vantaggio medio per contribuente Irpef di 168,7 euro all'anno, pari a 14 euro al mese.

All'epoca della riforma Tremonti ricordo che molti contribuenti che avevano creduto a Forza Italia e alla promessa di Silvio Berlusconi del «meno tasse per tutti», inviavano ai giornali lettere (allora le mail si usavano poco) che grondavano delusione: «Meno tasse? Alla fine è l'offerta di un caffè al giorno». Ecco, non siamo manco a quello. In media il governo Draghi offre ai contribuenti un caffè ogni tre giorni. Poi certo, ci sarà qualcuno che quel caffè gratuito lo sorseggerà tutti i giorni, e qualcun altro a cui sarà concesso una volta sola al mese. Sarà pure meritevole volere semplificare un po' quella giungla che è il fisco italiano, ma l'impressione generale è che quei 7 miliardi di sconto serviranno a ben poco, difficilmente avranno effetti moltiplicatori sul prodotto interno lordo italiano del 2022 (che non vive di solo caffè) e allora rischiano di essere buttati via dalla finestra. Dal poco che si conosce forse era più utile usare quella cifra comunque non enorme per ridurre l'impatto dell'extra-costo dell'energia per famiglie e imprese, o come investimento pubblico in settori che potessero offrire moltiplicatori e impattare sul prodotto interno nazionale e sul mercato del lavoro in modo assai più efficace.

Stupisce però che su un tema fondamentale per il Draghi premier abbia scelto il passo indietro e di non decidere. Certo, c'è l'argomento retorico della libertà del Parlamento che su molte altre questioni in realtà sembra importare assai poco a chi è al comando. Ma è anche evidente che quel Parlamento è orizzonte imprescindibile per chi ha bisogno di guardare ai suoi Grandi elettori. Quello sul fisco è soprattutto il primo vero segno di un Draghi proiettato ormai verso altri traguardi.
 

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