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Quirinale, l'esercito dei peones sulla strada di Draghi: pronti a coalizzarsi su un nome. E Silvio Berlusconi...

Carlantonio Solimene
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Due parole - Gruppo Misto - e decine di storie diverse. Talvolta agli antipodi. C’è, per citarne qualcuna, quella del senatore Mario Michele Giarrusso, portato in Parlamento da Grillo, salito agli onori della cronaca per il gesto delle manette esibito agli sgomenti senatori del Pd e oggi finito proprio nel Misto, componente Italexit. E, sempre in tema ex grillini, inutile ripercorrere le traiettorie di Gregorio De Falco (torni a bordo, cazzo!) e Lello Ciampolillo, aspiranti «costruttori» del Conte Ter rimasti senza nulla da costruire (nonostante il Superbonus). Oppure quella delle ex forziste Maria Rosaria Rossi (soprannome di battaglia: la badante) e Sandra Lonardo, meglio conosciuta come Lady Mastella.

 

Si potrebbe andare avanti a lungo. Ciò che tuttavia preme sottolineare qui è come sia praticamente impossibile ipotizzare le scelte di voto, nella partita del Quirinale, di una compagine così variegata. Una pattuglia di ben 113 parlamentari tra Camera e Senato di cui almeno un’ottantina con zero chance di farsi un altro giro nel Palazzo nella prossima legislatura.

A ben vedere, il punto della questione sta tutto qui. Davvero qualcuno, nell’esercito dei peones, è disposto a issare Mario Draghi sulla poltrona occupata fino a inizio febbraio da Sergio Mattarella?

 

Si è detto: i principali partiti devono siglare un patto per ipotizzare un nuovo governo di fine legislatura anche in caso di trasloco di SuperMario al Quirinale. Facile a dirsi, impossibile o quasi da realizzarsi. Perché lo stesso «gigante» Draghi, man mano che ci si avvicina al voto, fa fatica a tenere insieme la bizzosa maggioranza. Figurarsi cosa accadrebbe con gli assai meno carismatici Franco o Cartabia.

E così si torna al punto di partenza. Draghi al Quirinale vuol dire voto. E non si è mai visto un tacchino disposto ad anticipare il Natale. Certo, sulla carta i peones con i loro 113 voti poco potrebbero se i principali partiti si accordassero davvero sul nome dell’ex governatore della Bce. Ma il partito dei pensionandi (quelli che matureranno l’assegno a settembre 2022) ha quinte colonne un po’ in tutte le altre formazioni. I grillini sono una maionese impazzita, si sa. I renziani rimasti nel Pd temono di non essere ricandidati. I renziani rimasti con Renzi sono sicuri, anche se ricandidati, di non essere eletti. In Forza Italia si salverà sì e no un terzo degli attuali onorevoli. E anche nella Lega, col taglio dei parlamentari, non tutti rientreranno. Quale leader può mettere oggi la mano sul fuoco su tutti i suoi «giocatori»? Risposta facile: nessuno.

 

Così il gruppo Misto virtuale lievita. A duecento, o magari trecento parlamentari. Pronti a lanciare la corsa di un outsider, chiunque sia, che garantisca la sopravvivenza della legislatura almeno per un altro semestre. Certo, il problema poi è trovare il nome. E alla fine, pure facendo e rifacendo i conti allo stremo, la sostanza non cambia: quello che più si avvicina al magic number (505 voti, dal quarto scrutinio) è Silvio Berlusconi. Che, tra i soli parlamentari, ne può già contare 417 (127 forzisti, 58 meloniani, 197 leghisti, 24 di Coraggio Italia, 9 di Noi con l’Italia, 7 di Idea). Poi ci sono i delegati regionali (e il centrodestra governa 14 Regioni, almeno 28 voti) e qualche renziano col cuore che non batte a sinistra.

A quel punto, insomma, ne mancherebbero una cinquantina. Tanti, tantissimi, specie se si considera che non dovrebbe esserci neanche un franco tiratore tra i presunti sostenitori sicuri. Ma comunque meno di quelli di cui avrebbe bisogno qualsiasi altro outsider. A ben vedere, peraltro, nel Misto siedono onorevoli come Alberto Causin, Giusy Bartolozzi o Enrico Costa che qualche debito di riconoscenza con il Cavaliere ce l’hanno. E allora il distacco dai 505 voti potrebbe ridursi. Non succede, ma se succede...
 

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