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Stop ai cortei no green pass: la democrazia è finita, ora tolgono anche il diritto di dissentire

Francesco Storace
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Se il tema da svolgere fosse come convinco il 110% degli italiani a vaccinarsi, Mario Draghi sarebbe certo come al solito di saper superare la prova. Ma siccome il generale Francesco Paolo Figliuolo non riesce ancora a fornirgli dati superiori alla percentuale dell’80, il premier si incaponisce. 

 

Al posto della carezza, Draghi predilige la frusta. E comanda rappresaglie nella periferia dell’impero. Con provvedimenti abbastanza cervellotici, diciamo. Trieste, ad esempio, additata negativamente come capoluogo del Covid. Con un’ordinanza firmata dal prefetto, si stabilisce che fino al 31 dicembre ci si può scordare di manifestare in piazza dell’Unità d’Italia, come si erano abituati a fare gli anti green pass. Si sarebbe potuto dire – se il motivo è per davvero la salute pubblica - che non si scende a protestare senza rispettare il distanziamento e senza indossare mascherine. No, si punta direttamente sul divieto totale di dire la propria. Sicuri che è per un focolaio e non per un fastidio di ascoltare troppi no alle misure di Palazzo Chigi? (E danno pure il Daspo a Stefano Puzzer, niente viaggi a Roma per un anno...). Però in questo Paese si può tranquillamente far affollare a migliaia e migliaia di persone i luoghi più diversi per i Rave party. Lì pure il Covid ha paura di infilarsi, per non beccarsi infezioni da eroina. Per non dire dei raduni di chi ha preso male il no del Senato alla legge Zan. Nessuno ha controllato se fossero tutti vaccinati…

 

Ci hanno insegnato che il tratto distintivo di una democrazia decente è rappresentato anche dal diritto al dissenso. Perché arriva il momento in cui chi si pone domande rivendica il diritto di esprimere pubblicamente la propria opinione. Invece no, e semmai beccatevi la proroga dello stato di emergenza anziché strillare.

Quando si blocca la possibilità di manifestare non è mai un bel gioco nella vita democratica di una Nazione. Anche perché per la maggior parte degli incontri popolari contro il green pass, il tema decisivo è rappresentato dal diritto allo stipendio. Al lavoro. Che viene negato se non ti vaccini.

 

Eppure, chi preme il bottone del divieto di dissenso è chi non ha avuto il coraggio di imporre – per legge – l’obbligo vaccinale. Chiunque tra noi si è sottoposto alla puntura ha firmato una marea di fogli senza neppure leggerli. Abbiamo fatto a fidarci. Ma lo Stato non si fida di se stesso e pretende che siano i vaccinati ad assumersi la responsabilità del siero. Tutto questo accade mentre si registra caos totale sull’efficacia dei vaccini. Il green pass dura dodici mesi, il vaccino no. Johnson e Johnson un paio di mesi ti protegge poi chissà. Come si fa a non considerare legittimi i dubbi di chi teme rischi per la propria salute se si vaccina? Il che è probabilmente un errore, ma il diritto al dubbio dovrebbe essere ancora consentito. E siccome non ci si può permettere di manifestare, né di dubitare, arriva anche il crimine chiamato notizia. Da ieri c’è un’ondata di reazioni – politiche e politicanti - contro Sigfrido Ranucci, che da Report su RaiTre ha raccontato gli affari delle case farmaceutiche. Come se non fosse vero. Svelando anche le omissioni di Stato su quella terza dose iniettata tutta intera anziché a metà. Fonte? Moderna. Poi il business. Anche qui, la fonte? Pfizer. Crocifiggono lui e non chi sbaglia e parla.

 

Che vuol dire democrazia? Che cosa significa notizia? Che paese è quello che le nega entrambe? Chi scrive è bivaccinato e detentore di green pass: da nessuna parte ho letto che si debbano vietare democrazia e notizie per chi non ha ancora accettato il siero. Ma a Palazzo Chigi pretendono di decidere per noi. Non solo il dissenso, ma anche la notizia diventa il nemico da colpire. E si contesta l’informazione – corretta – di Sigfrido Ranucci sulle terze dosi raddoppiate. Ma dove vogliono arrivare?
 

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