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Nuove pensioni, ora si parte con la riforma previdenziale

Filippo Caleri
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Il nodo della riforma delle pensioni si gioca tutto nei prossimi due mesi. E il terreno di composizione delle diverse istanze in materia sarà quello della legge di Bilancio. Ieri durante l’audizione sulla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, davanti alle commissioni riunite di Bilancio di Senato e Camera, il ministro dell’Economia, Daniele Franco ha dato solo la traccia ma nessun indizio. «Nella Nadef non si accenna alla questione delle pensioni, è una delle questioni aperte che affronteremo nella Legge di Bilancio». Franco ha aggiunto che «nella Nadef abbiamo accennato a qualche possibile utilizzo di risorse ma non è una lista necessariamente esaustiva». Un via libera di fatto alla discussione con i sindacati che hanno messo subito in chiaro a cosa puntano nell’imminenza del pensionamento della Quota 100 previsto il 31 dicembre prossimo.

 

 

La promessa del governo di un rafforzamento dell’Ape sociale per aumentare la platea di chi può usarla non sembra sufficiente. Tutte le sigle sono d’accordo per alzare l’asticella seguendo il principio della flessibilità in uscita per tutti. Dunque assegno, o al compimento dei 62 anni d’età, o con 41 di contributi. Al raggiungimento dei requisiti il lavoratore sarebbe libero di andarsene dal posto. Non sarà facile far digerire all’esecutivo un cambio di passo del genere sul tema previdenziale considerando l’allergia di Bruxelles ad allentare le maglie della legge Fornero che resusciterebbe il primo gennaio prossimo in mancanza di interventi. Anche per questo le organizzazioni dei lavoratori hanno chiesto a Franco chiarimenti su cosa avverrà al termine della «Quota 100» e se nei piani ci sia anche una prestazione «di garanzia», che «valorizzi» i periodi senza contribuzione, nei quali sono da ricomprendere quelli di formazione e inoccupazione. Insomma il pressing di Cgil, Cisl e Uil sul Governo è ormai iniziato. Ascoltati ieri in Commissione Lavoro alla Camera, le sigle hanno sollecitato l’esigenza di «riportare l'equilibrio sociale» nell'assetto previdenziale, attraverso una «rivisitazione complessiva», visto che «ormai si sono esaurite le coorti interamente retributive fino al 2011». Infatti - hanno proseguito - «sono circa 200mila le persone ancora interamente nel retributivo. E chi andrà in pensione da ora in poi avrà almeno i 2/3 del paniere previdenziale di natura contributiva».

 

 

Ovviamente si può chiedere tutto ma senza le risorse necessarie a finanziare le misure non c’è molto margine di trattativa. I conti sono presto fatti. Per finanziare i tre anni di «Quota 100» che ha consentito l’uscita anticipata di circa 341mila occupati fino al 31 agosto sono stati utilizzati tra spese sostenute e da sostenere 18,8 miliardi. Per l’Ape sociale e la possibilità di pensionamento per chi ha iniziato a lavorare da giovane e si è trovato in difficoltà, dal 2017, sono stati accantonati circa cinque miliardi, fra costi affrontati e da affrontare, per poco più di 127 mila uscite in quasi cinque anni. Nella Manovra, ai fondi per aumentare la lista delle attività usuranti che consentirebbero di andare in pensione anticipata, o di avere l’indennità Ape devono essere stanziate altre risorse per la rivalutazione degli assegni, visto che dopo anni di calma dei prezzi quest’anno si è ripresentato un tasso di inflazione in crescita. Le tre sigle Cgil, Cisl e Uil puntano infine sulla «pensione di garanzia» che riempia i «buchi» contributivi dei lavoratori discontinui, un'idea nata per garantire «un importo dignitoso dei futuri assegni ai più giovani». Infine per l’Ugl non «sarebbe da escludere a priori una proroga di almeno un anno di Quota 100».

 

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