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Lamorgese assente e muta, Draghi non è informato bene

Franco Bechis
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Dopo qualche settimana salta fuori che il ministero dell'Interno guidato da Luciana Lamorgese era a perfetta conoscenza dell'organizzazione del rave party di fine agosto nel viterbese e ha pure seguito e accompagnato verso la meta buona parte delle carovane dei trasgressori. Le prove le ha raccolte con una puntuale ricostruzione il quotidiano La Verità. Di sicuro la centrale operativa del Viminale era informata passo a passo da prefetture e questure (la prima segnalazione dal porto di Livorno) di quel che stava avvenendo. Non sappiamo se i massimi dirigenti del ministero avessero avvertito o meno il ministro. Se sì, allora poi dal governo sono state raccontate frottole ed è grave. Se invece la Lamorgese non era stata avvertita è anche peggio. Perché se i massimi dirigenti manco più chiedono al ministro come debbono comportarsi in situazioni di grave rischio dell'ordine pubblico con pericolo di contagi, è perché comunque non si attendono dal ministro una guida politica e una indicazione sicura. Tema che sia questo il caso e Mario Draghi invece di assolvere frettolosamente la signora come ha fatto nella sua ultima conferenza stampa farebbe bene invece a scavare a fondo su quanto è davvero accaduto e ad avere qualche colloquio con la struttura ai massimi livelli che contorna il ministro. Perché tutto si può dire meno quel che il premier ha affermato con troppa poca riflessione e scarsa informazione: “la Lamorgese sta lavorando bene”.

Il problema della scarsa fiducia nel ministro da chi dovrebbe lavorare con lei e attendere direttive- talvolta anche ordini- che non arrivano mai è il vero buco nero di questo governo. E averlo proprio nel luogo in cui è concentrata la responsabilità dell'ordine pubblico, le politiche di immigrazione di accoglienza, la gestione della sicurezza degli italiani è un fianco scoperto che questo esecutivo non può permettersi di avere, per non rischiare di esserne travolto. Su questo il rave party è solo un episodio, sia pure fortemente simbolico. Possiamo tutti discutere sulle decisioni che si sarebbero potute prendere una volta capito quel che stava accadendo. Si poteva cercare di fermare il flusso, ed eran una decisione che aveva i suoi rischi di sicuro e probabilmente avrebbe avuto bisogno di una mano da parte di una magistratura che di solito non aiuta in casi simili. Si poteva decidere di non fermare nulla (come poi è stato), cercando di fare evaporare da sé l'evento contenendolo e poi rivendicando la scelta e sostenendo che in fondo non era accaduto nulla di grave né prima né dopo. Solo che la Lamorgese non ha fatto né l'una né l'altra cosa. La seconda scelta è sicuramente stata fatta al Viminale da qualcun altro, e certo il ministro non l'ha rivendicata né difesa pubblicamente. La Lamorgese brilla per la sua assenza di decisioni ed è muta sulle politiche di sicurezza, quando spesso senza fare grandi interventi la soluzione di molti problemi verrebbe aiutata da messaggi chiari di chi è alla guida di quei settori.

Basti vedere cosa è accaduto sulla immigrazione. Entro fine anno saranno entrati in Italia in modo illegale 60 mila immigrati seguendo il ritmo degli arrivi fin qui registrati. Una nuova città che nessuno sa dove mettere. Sono il doppio di quelli approdati da inizio anno sulle coste spagnole. Otto volte quelli arrivati in Grecia. La Lamorgese si è chiesta perché? E ha visto da che paesi arrivano i migranti saliti sui barconi? La prima etnia è quella tunisina, e si può capire: è lì a due passi e in quel paese la situazione è tutto fuorché ideale. La seconda provenienza però è il Bangladesh. Da laggiù arrivano in Italia via Africa e via mare? Che senso ha, visto che la rotta più naturale sarebbe quella verso la Turchia e da lì quella balcanica? Quella domanda se la sono fatta i ministri dell'Interno suoi predecessori, e hanno trovato pure la risposta e la soluzione. Hanno scoperto l'organizzazione di quella specifica tratta dei bangladini che spesso in Africa arrivavano in aereo e fatto accordi con paesi al di là del Mediterraneo per fermare la tratta sul nascere e consegnare un biglietto di ritorno a chi arrivava. Con la Lamorgese nessuna decisione e nessun accordo. Qualche rapida visita convinta che con quattro sua battute al di là del Mediterraneo le cavassero le castagne dal fuoco colpiti dalla sua simpatia e dalla sua affabilità.

Certo prima di lei c'era il suo grande nemico, Matteo Salvini. Alla Lamorgese non piacevano i suoi decreti sicurezza e li ha legittimamente cambiati. Ma se gli arrivi sulle coste italiane sono stati al minimo storico da anni sia nel 2018 che nel 2019, non era per i decreti sicurezza. Mica sparavamo con quelli ai barconi che partivano dall'Africa. Ma si era dato il messaggio (è bastato quello, fare la faccia feroce) ai trafficanti di uomini che qui non avrebbero trovato braccia aperte per fare partire meno barconi e rischiare meno vite e per dirottare gli stessi su altre rotte preferenziali. Era già successo per lo stesso identico motivo negli ultimi mesi in cui era ministro degli Interni Marco Minniti. Un altro politico che sapeva dare i messaggi giusti e forniva direttive politiche ai suoi uomini. Così in quegli anni fino all'arrivo della Lamorgese i trafficanti di uomini hanno scelto per un po' la Spagna come primo approdo e poi quando lì si sono mostrati meno accoglienti, la Grecia. E l'Italia è scesa al terzo posto nelle rotte dei barconi. Non servono leggi per ottenere questo risultato. Basta avere un ministro in grado di farlo. Ed è proprio quel che ci manca...

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