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Giustizia, l'attacco della Lucaselli: "Addio alla certezza della pena. Inaccettabili improcedibilità e svuotacarceri nascosta"

Pietro De Leo
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«Non solo questa riforma crea danni al Paese, ma mortifica anche il ruolo del Parlamento». È perentoria Ylenja Lucaselli, deputata di Fratelli d’Italia (e avvocato fuori dal Palazzo) commentando lo sbarco alla Camera e il contenuto della riforma Cartabia del processo penale.

Perché mortifica il Parlamento?
«La gestione dei lavori in Commissione Giustizia è stata folle. Abbiamo iniziato a discutere gli emendamenti alle 12:30 di oggi (ieri, ndr), per poi fare un ufficio di presidenza in cui è stato deciso il contingentamento dei tempi. Un minuto a emendamento; considerando che quelli della maggioranza sono stati ritirati, restavano le proposte dell’opposizione, circa 140. È accettabile comprimere in questo modo la discussione per un tema così importante? Direi proprio di no».

Andando nel merito, cosa non vi convince?
«Ci sono molti aspetti. Partiamo dall’articolo 3 del testo; prevede che saranno le procure a scegliere le priorità dei reati da perseguire. In pratica, si elimina il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Facendo un esempio teorico, a Bolzano potrà essere prioritario perseguire le rapine e a Bari no, o viceversa. Sono scelte che, al contrario, dovrebbero essere governate da un principio generale, altrimenti si rischia di avere una giustizia a macchia di leopardo. E poi c’è tutto il capitolo delle misure alternative alla detenzione, una specie di "svuotacarceri nascosta"».

 

 

I sostenitori della riforma dicono che è garantismo.
«Eh no. Il garantismo autentico deve essere osservato nelle fasi del percorso giudiziario, assicurando il giusto processo. Però se arrivi, eventualmente, alla condanna, la sanzione poi deve essere comminata. Con il testo del governo non c’è più il principio di certezza della pena».

Ammetterà, però, che almeno sul piano del taglio dei tempi, questa riforma può funzionare.
«Anche qui ci sono delle criticità. Hanno creato un mostro giuridico, cercando un difficile compromesso, raggiunto a ribasso, tra garantisti e giustizialisti presenti nella maggioranza. Per noi, sarebbe stato meglio reintrodurre l’istituto della prescrizione che sancisce il termine sulla base della gravità del reato e sulla pericolosità sociale dell’imputato. L’istituto dell’improcedibilità, rischia di essere come una "ghigliottina" in Appello e in Cassazione, che potrebbe fungere come una specie di "amnistia di fatto", soprattutto per i reati più gravi. Ora è più chiaro perché questa riforma può danneggiare il Paese?».

 

 

Alla fine dei giochi, secondo lei chi esce vincitore e sconfitto dall’impostazione della riforma?
«Sicuramente ha vinto Marta Cartabia, che doveva far approvare questa riforma in tempi molto rapidi e ci riuscirà, anche per la compressione del dibattito parlamentare. Per quanto riguarda i partiti, mi pare che nessuno sia riuscito a incidere in maniera sostanziale, la struttura di base della riforma è rimasta quella originaria. A tutti è stato concesso un contentino, ma nulla di più. Un compromesso al ribasso, appunto, ma non è questo ciò che serve al Paese».

 

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