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Il Pd va in pezzi sulla giustizia: Salvini sfascia i Dem sulle toghe

Francesco Storace
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Alla fine Matteo Salvini sfascerà il Pd con i sei quesiti referendari sulla giustizia. Perché dopo il deposito in Cassazione, la questione diventerà centrale a partire dal 2 luglio con la raccolta delle firme promossa da Lega e Partito Radicale: diventerà difficile sottrarsi alla pressione popolare da parte del Parlamento. E il Pd rischia grosso, anche perché ci sono suoi importanti esponenti che sono stufi della deriva manettara degli ultimi anni. Dalla responsabile giustizia dei dem Anna Rossomando al sempreverde Goffredo Bettini emergono aperture sostanziali ad una riforma radicale della giustizia. Anche l’ex capogruppo del Senato Andrea Marcucci apprezza i referendum pur dannandosi l’anima per il sostegno della Lega. Tenta di rimettere tutti in riga col suo no il rappresentante Pd in commissione giustizia Franco Mirabelli, ma la sensazione è che il dibattito sia destinato a deflagrare. E del resto la miccia è stata accesa ancora prima dalla conversione neogarantista di Luigi Di Maio dopo l’assoluzione dell’ex sindaco di Lodi. Sono in molti al Nazareno quelli che non ci stanno a farsi impartire lezioni dal ministro degli Esteri pentastellato.

 

 

L’iniziativa assunta da radicali e Lega è di assoluto valore politico e fa sperare in un orizzonte migliore per un Paese che da tanto tempo fa i conti con aule di tribunale che ispirano sempre meno fiducia ai cittadini. I referendum toccano punti fondamentali per la giustizia, dei quali si parla da gran tempo. Sono sei i quesiti su cui si raccoglieranno le firme degli italiani. A partire dalla modifica dell’elezione del Csm, per sottrarre l’organo di autogoverno della magistratura allo strapotere delle correnti: basta con le raccolte di migliaia di adesioni alle candidature da parte dei gruppi organizzati, siano liberi giudici e pm di presentarsi da soli. Ancora un tema bollente come quello riguardante la responsabilità diretta dei magistrati, approvato in passato e mai attuato nella forma voluta dal popolo. E poi l’equa valutazione dei magistrati. Altri pezzi forti dei quesiti sono quelli che impattano su altri due temi molto sentiti, come la separazione delle carriere e i limiti agli abusi della custodia cautelare. Già qui si sentiranno le urla grilline - che non hanno digerito il Di Maio pensiero - ma se ogni anno mille innocenti, così dicono le sentenze di assoluzione, vengono sbattuti in galera senza motivo, vuol dire che il problema c’è e non è stato affrontato come si doveva. <FG><FG>Poi, l’ultimo tema bollente riguarda l’abrogazione della legge Severino. Non è vero, come già si comincia a dire, che si vogliono graziare i politici condannati, ma che semplicemente devono essere eventualmente i giudici a decidere le pene accessorie sulla non ricandidabilità, al di fuori di ogni automatismo. Troppi sindaci ci hanno rimesso le pene ingiustamente.

 

 

Questioni di grande civiltà, che ora non potranno più essere ignorate, soprattutto se le firme saranno raccolte in misura copiosa. Con i quesiti referendari tornerà finalmente ad accendersi il dibattito sulla giustizia. Se il Parlamento farà prima - e qui toccherà alla ministra Marta Cartabia - la soluzione legislativa potrà arrivare presto, soprattutto se sarà rispettosa dei quesiti referendari. Altrimenti deciderà il popolo italiano e in fondo è la cosa più bella che possa esserci. E magari avremo - come ha detto Salvini - «processi più veloci e meno correnti nel Csm, meno lottizzazione e logiche spartitorie, la responsabilità civile di chi sbaglia e paga come tutti gli altri lavoratori e più tutele per i sindaci». Da troppo tempo la giustizia è in attesa di cambiamento. E forse questa potrà essere davvero la volta buona. La svolta buona. Determinata ancora una volta dalla tenacia radicale. Benedetto Pannella…

 

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