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Cartabia, Veltroni, Casini...Tutti in fila per il Quirinale

Francesco Storace
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Alla fine il crocevia del potere in Italia non si muove da lì: è con il Colle che bisogna fare sempre i conti e quindi il gioco di parole impone che due conti per il Colle è bene cominciare a farli. Con un paio di notizie in un solo giorno. La prima è rappresentata dalle parole di Sergio Mattarella, che anche ieri ha ribadito di non avere alcuna intenzione di restare al Quirinale oltre il mese di febbraio 2022 e lasciare il campo al successore che sarà eletto dal Parlamento con i delegati provenienti dalle regioni.

 

 

 

La seconda è nelle dichiarazioni del leader della Lega, Matteo Salvini, che ha lanciato Mario Draghi nella corsa al Colle. La Lega non ha «propri uomini» da dover mettere in campo, dice Salvini, a cui preme di più rinsaldare il fronte di circa 450 elettori su mille che il centrodestra esprimerà per il voto sul Quirinale. «Se il centrodestra è compatto – confida il leader della Lega ai suoi amici - può succedere di tutto e finalmente si potrà sottrarre all’egemonia della sinistra la postazione istituzionale più ambita».

All’apparenza, l’indicazione di Salvini potrebbe essere vista come la più facile. In realtà non è così. Certamente tutti dicono che Draghi aspiri al Colle. Ma quanti sono in realtà disposti ad assecondarne la volontà? Quando ne parla il capo della Lega è indubbia la sincerità e anche la convenienza politica. Perché potrebbe ottenere le elezioni anticipate subito dopo l’elezione del presidente della Repubblica; e se ciò non avvenisse perché si dovesse rendere necessario un mandato ad un premier per la parte finale della legislatura, si tratterebbe certamente di un capo dello Stato non ostile al centrodestra. Proprio per le elezioni subito, l’ostacolo all’elezione di Draghi sarebbe invece rappresentato dal corpaccione degli attuali mille parlamentari che non vogliono andare a casa anzitempo. E chi li potrà controllare nel segreto dell’urna?

Il Quirinale è una postazione decisiva per la democrazia. Basti pensare alle «cose da fare» per il Presidente della Repubblica: la nomina del premier. Lo scioglimento delle Camere. È presidente del Consiglio superiore della Magistratura. E mette becco praticamente su qualunque questione. È un ruolo che fa gola a tutti, ma pochi potranno aspirarci se non dovessero davvero prevalere la rielezione – anche per breve tempo – di Mattarella o quella di Draghi.

A sinistra i contendenti sono davvero troppi. Dal solito Romano Prodi a Paolo Gentiloni, da Dario Franceschini a David Sassoli, da Enrico Letta al temuto o auspicato ritorno di Walter Veltroni. Un assembramento, praticamente, un pacchetto di mischia che si farà fuori da solo.

 

 

 

In chiave femminile – e sarebbe la prima volta – potrebbe riscuotere un consenso trasversale per salire al Colle la ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Ma la condizione è restare ferma per non scontentare nessuno. Una donna di lusso apre la gallery degli aspiranti a destra, come Elisabetta Casellati, presidente del Senato. Sempre ovviamente che non torni seriamente in campo Silvio Berlusconi. Altri nomi sempre in voga nel centrodestra, l’ex presidente a Palazzo Madama Marcello Pera e il sempreverde Giuliano Amato, con agganci a sinistra molto raccontati e poco raccolti. Se le carte dovessero ingarbugliarsi dopo la prima decina di scrutini, sono aperte le scommesse sui nomi che potrebbero essere non sgraditi alle parti in campo, Pierferdinando Casini su tutti. Da non trascurare, per sensibilità a destra come a sinistra nell’uno o nell’altro caso, Guido Crosetto o Paola Severino. Il nome di Giuseppe Conte non lo fa nessuno.

Ovviamente tutti dovranno fare i conti con i voti di tutti. Pd, Cinque stelle e vedove tutte dell’ex premier partono con una maggioranza risicata, avendo perso per strada Italia Viva di Matteo Renzi, con i suoi quasi 50 parlamentari. Nello scontro uomo contro uomo potrebbero essere decisivi. Sui giallorossi bisogna comunque tenere conto della tenuta dei grillini, ormai sempre più sbandati e ogni giorno a rischio scissione. Poco sotto la maggioranza assoluta dei 505 voti, necessari dal quarto scrutinio in poi – prima c’è bisogno dei due terzi dei grandi elettori – c’è il centrodestra tra Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e componenti varie dei gruppi misti. Sulle rappresentanze regionali, il centrodestra prevarrà con i delegati, che saranno 58. Se ne calcolano 34 a destra e 24 a sinistra.

Tanto per capire il pathos che potrebbe animare la partita del Quirinale, bisogna fare bene i conti. Sui 505 voti necessari per la maggioranza assoluta, basterebbero poche decine di franchi tiratori per affossare qualunque candidato. Per questo saranno necessarie intese più che larghe su nomi da poter condividere. Ad ogni scrutinio, il battiquorum. Sennò Draghi.

 

 

 

 

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