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Alla sanità meno soldi di Conte. La "missione salute" viene tagliata da Draghi

Carlo Solimene
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Nell'ottobre 2020 il ministro della Salute Roberto Speranza annunciò l'arrivo imminente di un piano di rilancio della sanità italiana da 65 miliardi di euro. Contestualmente, però, l'allora premier Giuseppe Conte fece trapelare che alla «missione Salute» il Recovery Plan preparato dal governo assegnava appena 9 miliardi. Fu anche in questa frattura che si infilò Matteo Renzi per aprire la crisi di governo. Nel discorso del 9 dicembre in Senato il leader di Italia viva fu esplicito: «Ma chi ha deciso che nel Next Generation Eu ci siano solo 9 miliardi per la sanità? Secondo me ce ne vuole il doppio, il triplo, il quadruplo, ovvero 36 miliardi, quelli del Mes». Le polemiche dei giorni successivi portarono a una sostanziale revisione del Recovery Plan e alla fine l'ultima versione «contiana», quella del 12 gennaio, vedeva più che raddoppiati i fondi europei da destinare alla Sanità: in tutto 19.72 miliardi di euro (18.01 dal Next Generation Eu e 1.71 dal React -Eu). Di questi, 7.9 miliardi erano destinati al potenziamento vero e proprio della sanità territoriale (Assistenza di prossimità e tele medicina) e 11.82 all'«Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell'assistenza sanitaria». Italia viva non ritenne sufficiente neanche quello sforzo e, continuando a richiedere l'accesso al prestito europeo del Mes, pose di fatto l'esecutivo alla crisi.

 

 

A distanza di oltre tre mesi ha finalmente preso forma anche il Pnrr di Mario Draghi. E la sorpresa è che alla missione Salute vengono destinati grosso modo gli stessi fondi previsti nel piano di Giuseppe Conte. Anzi, in realtà sono un po' di meno che, grazie a un'accortezza «contabile», diventano un po' di più. Lo stanziamento totale per la sanità, per cominciare, è pari a 20.22 miliardi. Appena 500 milioni in più di quello previsto dal governo precedente. Ma, attenzione, a quella cifra si arriva solo grazie ai 2.89 miliardi prelevati dal «Fondo complementare». Quest'ultimo, che integra l'intero Pnrr con 30.64 miliardi, è composto da risorse aggiuntive che il governo ha stanziato - con ulteriore deficit di 6 miliardi l'anno per i prossimi 5 anni - per finanziare i progetti che non rientravano nelle direttive europee. Sottratta questa somma, dunque, il totale dei fondi continentali destinati alla sanità scende a 17.34 miliardi. Oltre due in meno di quelli progettati da Conte. Certo, non sempre «è la somma che fa il totale» (Totò ci perdoni); conta, altresì, anche il modo in cui vengono allocate le risorse. Ma anche da questo punto di vista le novità, rispetto all'epoca contiana, scarseggiano.

 

 

Limitando il discorso ai fondi europei, l'intervento sulla rete territoriale della sanità vale 8.5 miliardi per Draghi mentre per Conte ne valeva 7.9. E la «digitalizzazione» del Ssn passa dagli 11.82 miliardi di «Giuseppi» agli 8.84 di «SuperMario». Anche i punti cardine del piano restano sostanzialmente gli stessi: l'istituzione della «Casa della Comunità» e di un modello che veda la «casa come primo luogo di cura» e favorisca lo «sviluppo delle cure intermedie» (sono uguali anche i titoli dei paragrafi). Certo, il piano di Draghi è più dettagliato e presenta spunti interessanti sulla sanità anche negli altri capitoli. In particolare in quello dedicato alla riforma della concorrenza si scrive che «con riguardo all'erogazione dei servizi a livello regionale, occorre introdurre modalità e criteri più trasparenti nel sistema di accreditamento, anche al fine di favorire una verifica e una revisione periodica dello stesso, sulla base dei risultati qualitativi ed effettivamente conseguiti dagli operatori. È inoltre necessario intervenire sulla legislazione in materia sanitaria per ridurre i poteri discrezionali eccessivamente ampi nella nomina dei dirigenti ospedalieri». Più meritocrazia e trasparenza a livello amministrativo, insomma. Anche se non si capisce ancora bene come garantirla. Bastano queste poche differenze a giustificare un cambio di governo? A scorrere le reazioni politiche, evidentemente sì, visto che nessuna polemica si è sollevata sul punto. I renziani non hanno reclamato il Mes e Federico Fornaro di Leu un tempo «contiano» di ferro - parla di grande risultato. Potere di SuperMario.

 

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