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Governo, basta rimpastarne uno solo: via alle grandi manovre per cambiare il premier Conte

Franco Bechis
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Il Pd su questo è spaccato. Ma anche nelle fila del partito di Nicola Zingaretti si sta facendo strada la suggestione del rimpastino cui mira ormai apertamente Matteo Renzi. Perché fare tante battaglie e troppi feriti in un'operazione di questo tipo se basta sostituire una pedina per risolvere gran parte dei problemi che tutti soffrono? L'ipotesi che appunto il leader di Italia Viva ha fatto venire limpidamente allo scoperto e che affascina anche una parte del Pd è quella della sostituzione del numero uno, di Giuseppe Conte, con un altro premier che secondo i proponenti faciliterebbe assai il cammino del governo.

Non è contrario in sé il segretario del Pd, c'è sicuramente una sponda disponibile al di là delle dichiarazioni ufficiali perfino nelle fila del M5s, ed è indubbio che in questi mesi il capo del governo sia riuscito nel capolavoro di mettersi contro forse la parte più rilevante della sua maggioranza. Ma il nome per il cambio di cavallo che possa convincere tutti non c'è. Nessuno riuscirebbe a dire no a un candidato Pd, tanto più se questo dovesse essere Zingaretti in persona. Ma lui non è un fulmine di guerra sulle decisioni e quel coraggio bisogna che glielo dia qualcun altro.

Più difficile praticare l'ipotesi di Mario Draghi, perché al M5s ora è stato fatto ingoiare il Mes e sembrava impossibile. Ma con un doppio colpo così si squaglierebbe. Meglio altri candidati come Carlo Cottarelli o tecnici un tantino più scoloriti nella personalità. Ipotesi sul tavolo ce ne sono tante, ma è impossibile non passare attraverso una crisi di governo se si vuole sostituire chi lo guida. La spallata non è un problema, perché la darebbe Italia viva con un pretesto o con un altro e al voto di fiducia qualche altra assenza casuale la aiuterebbe. Ma per farsi autorizzare la crisi dal Quirinale bisogna avere certezze sul minuto dopo, e non ci sono ancora.

Ieri abbiamo letto una serie di barzellette sui quotidiani del giorno, con i vari Zingaretti, Goffredo Bettini ed esponenti grillini che evocavano le elezioni in caso di crisi. Figurarsi se questa maggioranza andrà mai ad elezioni nella certezza di restare fuori da ogni gioco per anni e di essere pure decimata dalle urne rinunciando così alla gestione dei 209 miliardi del Recovery Fund e anche alla elezione del prossimo presidente della Repubblica che oggi ha in mano. E' ovviamente un ballon d'essai: dovesse cadere questo governo è matematicamente certo che se ne farà un altro con la stessa identica maggioranza. La spallata di Renzi sarebbe dunque possibilissima. Solo che il Pd è un animale strano, piccolino ma dalle mille anime, non certo un monolite. Chi oggi è capo delegazione al governo, Dario Franceschini, perderebbe inevitabilmente ruolo e peso politico se al posto di Conte dovesse andare un altro esponente Pd (a meno che sia lui stesso). E quindi frena, addirittura sacrificandosi a fare da salvagente al premier in carica. Ieri sera sia pure tardi Franceschini si è immolato per sviare il sospetto su Conte per il conflitto di interessi dovuto a quella norma del decreto rilancio che ha salvato dalla condanna penale il papà della fidanzata del premier. Prima dai beni culturali è stata data alle agenzie una ricostruzione dei fatti secondo cui era stato proprio Franceschini ad accettare quella norma che sarebbe stata presentata in emendamenti della opposizione. La ricostruzione traballava un pochino perché in realtà quel testo era stato approvato in consiglio dei ministri e mai modificato in Parlamento, dove il governo lo ha difeso con le unghie e con i denti da due emendamenti soppressivi delle opposizioni.

Ma a chi lo sentiva ieri sera per chiarimenti Franceschini ha poi spiegato e dimostrato con prove di avere ricevuto richieste dell'opposizione per varare quella norma e liberare tutti gli albergatori dall'incubo penale. Chi avrebbe fatto più pressing secondo la ricostruzione del ministro sarebbe stato all'epoca della discussione di due decreti precedenti (il Cura Italia e il dl liquidità) il capogruppo di Fratelli di Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida, che in effetti a quella ipotesi accennò intervenendo dai banchi della Camera. Altre richieste dello stesso tipo erano state fatte al governo dalle Regioni e da Federalberghi. “Io non sapevo affatto”, ha spiegato Franceschini ai suoi interlocutori, “che il suocero di Conte fosse il proprietario dell'Hotel Plaza e che avesse patteggiato una condanna per peculato. L'ho letto dopo sui giornali”. Chissà se è vero o no, ma questo sacrificio fatto ieri dal capo delegazione del Pd al governo dice che la strada per sostituire Conte non è tutta in discesa come pensava chi si è mosso in questi giorni.

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