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Stati Generali M5s, il giorno dell'agonia grillina

Franco Bechis
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Credo di non avere assistito in 30 anni e più di mestiere a un appuntamento politico più privo di contenuti, banale, scialbo e prefabbricato degli Stati Generali del Movimento 5 stelle. Dovevano essere il momento clou del dibattito e della vita interna del gruppo politico che ha nelle sue mani il Parlamento e l’attuale governo del Paese come quello precedente, ed è stata invece la grottesca agonia delle attese e forse pure delle speranze di milioni di italiani che avevano affidato il loro futuro a quella nuova forza politica. Vedere ieri il reggente Vito Crimi condurre una rappresentazione teatrale all’interno di un fumetto che la grafica gli aveva disegnato mettendolo al centro di un palco disegnato e davanti un pubblico di cartone è stata la metafora perfetta del declino grillino: nessuno avrebbe saputo fare vedere meglio di quelle sagome la perdita di ogni contatto con la realtà e con la vita delle persone in carne ed ossa. Sarà stata come ha detto Roberto Fico la «contraddizione del passaggio fra le piazze e i palazzi», ma vedere in quelle condizioni il movimento nato dal Vaffa e destinato ormai a prendersi un vaffa dietro l'altro dai suoi elettori è stato davvero impietoso.

Non ve ne parlerei non si trattasse della prima forza politica rappresentata in Parlamento anche se non più nell’elettorato italiano: le decisioni per tutti noi passano da quelle mani, volenti o nolenti. E quindi non possiamo esserne indifferenti. Anche perché l’attuale classe dirigente italiana è di livello talmente basso da raschiare il fondo della storia repubblicana, e rotolerà così stancamente chiusa nei palazzi fino alla fine di questa legislatura, mossa solo dal desiderio di conservare le proprie terga al calduccio della poltrona che le ospita.

Che cosa è accaduto negli Stati generali del Movimento 5 stelle? Nulla. Ognuno si è fatto le lodi da solo, nessuno ha parlato dei problemi drammatici che stiamo affrontando se non per fare qualche saluto banale e logoro agli «eroi del coronavirus», che così sono quando fa comodo (medici e infermieri), ma poi gli stessi che li violentano per farne uso retorico e ricavarne qualche like, hanno fatto precipitare nella disperazione in cui ora si trovano, senza fiato, ancora una volta senza armi, senza uno straccio di riconoscimento economico. Qualcuno era ricurvo sui problemini interni al Movimento, i soli in grado di eccitarli un po’: due mandati sì/ due mandati no, Rousseau sì/ Rousseau no, guida collegiale sì/guida collegiale no, e così via. Cosucce che interessano solo a loro, e che a dire il vero manco li infiammano. Un po’ di battaglia politica si è vista nell’intervento di Alessandro Di Battista che è restato quello di sempre: un oppositore, con il suo decalogo di principi di cui oggi il Movimento si infischia allegramente. Gli ha risposto per le rime senza citarlo Roberto Fico, l’unico altro che mastichi un po’ di politica. Per il resto il vuoto assoluto. O grande ruspante fantasia che faceva sorridere dieci anni fa, un po’ meno oggi quando senti le stesse cose strampalate uscire dalla bocca del sottosegretario agli Esteri Manlio di Stefano. Ha esordito così il suo intervento: «Ciò che siamo è ciò che abbiamo pensato, diceva Buddha», e nel pantheon grillino così è entrato pure lui. Poi ci ha spiegato serio che «siamo nell’era dei sociologi e degli ingegneri», cosa di cui non m’ero accorto sentendo strologare solo virologi e medici da mesi.

Il Movimento 5 stelle ha dato uno scossone importante a questo paese, ed era quello che ci voleva con una politica che ormai si era avvitata su se stessa perdendo giorno dopo giorno l’orizzonte con il paese che le dava un senso. Ma sta facendo la stessa fine di quelli che ha sostituito con un colpo di spugna, quasi fosse inevitabile una volta entrati nel palazzo: la scatoletta di tonno se li sta mangiando richiudendosi sopra ognuno di loro a poco a poco. Il suo destino è probabilmente quello di venire assorbito dal Pd salvo qualche gruppuscolo che tenterà strade autonome sventolando le sue bandiere originarie. Forse era quello che voleva Beppe Grillo quando iniziò provocatoriamente tentando di iscriversi al Pd per conquistarne il comando: sta accadendo l’esatto opposto, ma è vero che in questi anni è riuscito in quel che sperava: grillizzare un po’ tutta la politica inserendo il dna di quel vaffa a destra e manca. È successo, e nei suoi stessi piani il Movimento 5 stelle così non avrebbe più avuto senso, annullandosi nella contaminazione altrui. Purtroppo l’operazione invece di fare crescere e maturare nuovi uomini politici facendogli acquisire capacità, ha contribuito a livellare verso il basso un po’ tutta la classe dirigente. Ci sono anche brillanti polemisti, splendidi cantori di slogan, affabulatori in grado di dire tutto e il suo contrario, ma è così rara come mai era accaduto la merce di cui avremmo in questo momento storico più bisogno: le capacità dei singoli. Tanto è che perfino un avvocato di modesta fama come Giuseppe Conte in questa modestissima compagnia è sembrato chissà che. Una tristezza vera. E davvero poche ragioni per guardare con un minimo di speranza ai mesi che verranno. 

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